Mario
Scamardo
I Racconti del Borgo
LA MAESTRIA
La radice
dell’Arte si colloca nel bisogno di esternare, di esprimere, ciò che vive
nell’animo di ogni uomo.
Per fare un’opera
d’arte non basta esprimere il nostro pensiero; scrivere per manifestare
bisogni, per esporre risultati di una ricerca erudita, di una analisi
scientifica, non significa creare secondo un pensiero di bellezza, quindi, non
è per nulla scrivere un componimento letterario. Sara, tutto ciò lo aveva
maturato e, con pazienza, attese che la passione la ghermisse e il suo
linguaggio commosso creasse dal suo ardore
una nuova realtà capace di agitare affetti, di suscitare immagini, per
trasportarla fuori dal campo delle pure idee e sollevarla nel mondo dei sogni,
cioè della fantasia accesa dal sentimento.
Fu mia
alunna quando era una bellissima ragazzina quindicenne, due occhi neri e
profondi, i capelli tirati sulla nuca e due mani delicate e diafane che si
muovevano con grazia facendo giusta compagnia al suo dialogare. Dopo la maturità non ebbi più modo di
incontrarla fino alla sua laurea in Scienze Naturali. Abilitata, mise su un
laboratorio di analisi. Quando un mattino mi sottoposi al prelievo del sangue
per una analisi di routine, lei mi chiese di soffermarmi, di ascoltarla per
qualche minuto come facevo quando mi raccontava in corridoio, durante
l’intervallo per la ricreazione, i suoi turbamenti, le preoccupazioni per un
concetto non capito, i diverbi con i suoi genitori, il rapporto col primo
ragazzo che le fece la corte. Seduto nel suo studio, davanti ad un caffè
fumante che aveva preparato con la macchinetta automatica, l’ascoltai. Mi
chiese se c’erano delle tecniche particolari non tanto per pubblicare, quanto
per scrivere un libro, mettere sulla carta un narrato che gli altri, senza
difficoltà e con gusto potessero apprezzare. Quando si fermò, la guardai negli
occhi ed ebbi un dubbio, quello che, oltre ai testi scolastici Sara avesse
letto pochissimo.
- Scusami Sara, posso farti una domanda?
-
Certo!
-
Quanti
libri hai letto?
Con un
pizzico di esitazione la ragazza :
-
Professore, dopo i classici che si leggono al liceo, per la verità ho
letto pochino, un po’ per gli impegni di lavoro, un po’ per gli impegni a casa.
Non ho voluto mai sposarmi, la perdita di mia madre mi ha trasformato in una
madre per mio padre, scusi il bisticcio di parole, mio padre psicologicamente
dipende soltanto da me, ha digerito malamente la perdita della donna che amava,
è diventato come un bambino, eppure è più giovane di lei…
Abbassai gli occhi e mi sentii in colpa per averla costretta a quel momento di
sfogo.
-
Scusami,
ti ho chiesto se tu avevi letto soltanto perché nei libri si trovano molte
delle risposte che cerchi. Capisco che hai una storia molto importante da
raccontare, gran bella cosa, devi farlo ma, ricordati, quello che scriverai è
già stato scritto e lo trovi proprio nei libri! La storia sarà unica, la trama
sarà unica, ma dei pensieri filosofici che ci metterai dentro, grandi pietre
miliari, sono piene le biblioteche.
-
Certo
professore, prima di approcciarmi a pigliare carta e penna ho voglia di
immergermi in alcuni autori. Per avere una guida durante l’eventuale stesura,
proverò ad appuntare la trama affinché possa non dimenticare nulla.
-
Sara,
tu sei una persona intelligente, quando alla passione, all’ardore dello
scrittore, sottentra la fredda speculazione necessaria alla ricerca storica,
filosofica, scientifica, l’arte ahimè cede il posto alla storia, alla filosofia,
alla scienza, le quali non hanno più per fine precipuo la bellezza, ma il vero.
Io non voglio sapere l’argomento e le tematiche che tratterai, tu sappi che si
possono scrivere trattati ma anche opere d’Arte, se vuoi lanciare un vero
messaggio con quello che hai in testa, allora il tuo narrato dovrà culminare
con una morale, un monito, un suggerimento, capaci di portare il lettore su un
piano decisamente fantastico ma pieno di obiettivi, di mire.
Sara
sorrise, mi prese una mano, come era solita fare da alunna e la strinse, poi:
-
Quando
ha tempo, se vuole, mi venga a trovare, dopo le dieci del mattino difficilmente
ci sono prelievi, in questo laboratorio siamo in tre, il tempo per stare con
lei me lo ritaglio.
-
Sara,
lo farò con piacere e ti porterò un libro dopo l’altro, affinché tu possa
pigliare dimestichezza con i vari linguaggi letterari. Se vorrai, nei pomeriggi
porta tuo padre in campagna da me, io lo conosco bene, nel passato
frequentavamo lo stesso “circolo”, tante volte è stato compagno mio di scopone scientifico,
vedrai che si distrarrà e ritroverà magari il vecchio sorriso. Ora vado via,
alzandomi in piedi ti farò sentire il cigolare delle mie ginocchia, passerò dal
fornaio per prendere il pane e dal tabaccaio per comprare le sigarette a mia
moglie.
-
Non
ho capito perché, la vita emotiva di mio padre è ritornata a quella di un
bambino, una vita caratterizzata da paure primitive. La pioggia scrosciante, il
rumore della grandine, i tuoni ed i lampi, il buio ed anche il silenzio. Provo
ad aiutarlo a riguadagnare l’autocontrollo che un tempo aveva, muovendomi con
lui e facendogli sentire la mia presenza ma, non mi va di comandarlo, di
vietargli qualcosa, di regolare le sue azioni, non è un bambino, anche se
sembra lo sia diventato.
-
Sara,
vienimi a trovare con tuo padre, lo inviterò a rifrequentare la piazza. Pian
pianino lo porterò con me a fare la spesa, al teatro o al circolo, vedrai,
troveremo una intesa e, senza che se ne accorga, ritornerà più sicuro di prima
e non ti darà più pensiero. Tuo padre, aimè, ha elaborato male il lutto, per
fortuna le distrazioni aiutano spesso a ritornare alla vita di sempre.
Sara assentì
col capo, non disse una parola, ma dai suoi occhi sortì un piccolo sorriso poi,
mi accompagnò all’uscita e attese che scomparissi dietro l’angolo.
Cosa voleva
scrivere Sara non lo aveva accennato, ma aveva bisogno di tanta serenità, di
tanto tempo per immagazzinare pensieri, per dialogare con quanti potevano
offrirle spunti ma, soprattutto di dare una sterzata alla sua vita fatta di
lavoro professionale e di lavoro tra le mura di casa.
Un mattino, dopo avere sbrigato le mia
faccende di routine, fare la spesa, prendere i giornali dal tabaccaio e le
sigarette per mia moglie, mi recai presso il laboratorio di Sara. Erano le
undici, lei era davanti al suo computer che caricava i dati delle analisi, mi
vide, si alzò e mi venne incontro:
-
Sono
contenta, si accomodi, proprio ieri pomeriggio cercavo di convincere mio padre
a recarci a casa sua, anche perché, la sua signora, la maestra Enza è stata mia
insegnante ed io ne conservo un dolcissimo ricordo.
-
E
perché non siete venuti, mi avrebbe fatto un enorme piacere e avresti fatto felice
mia moglie.
-
Pensavo
di telefonarle per avvertire anche la sua signora.
-
Non
occorre telefonare, venite quando volete, senza bisogno di avvertire, il
bollitore del tè è sempre sul fuoco, la macchinetta del caffè è sempre in
pressione e il vassoio dei biscottini è sempre colmo, io e mia moglie siamo due
golosi.
Infilai la
mano nella tasca della giacca e tirai fuori
“Uomini e topi” di John
Steinbeck, un romanzo breve in edizione tascabile, lo porsi a Sara:
-
Tieni,
leggilo con calma, poi rileggilo dopo un po’ di giorni, ti sembrerà diverso.
Appena vieni a trovarmi ti faccio trovare “Il buio oltre la siepe”, di Harper Lee, il cui titolo originale è To Kill a Mockingbird (Uccidere un usignolo). Vedrai, dopo il terzo
libro, tutto ti comincerà a sembrare diverso, e sarà allora che cercherai il
quarto, il quinto ed ancora altri, perché scoprirai che il mondo che ci
circonda è diverso da come lo abbiamo sempre visto.
Aspetta prima di pigliare
carta a penna, aspetta che io ti regali due grandi capolavori, il primo è Pinocchio di Carlo Lorenzini che, letto
da adulti, diventa un testo di filosofia, il secondo è “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Tutti gli
adulti in passato hanno vissuto
la loro infanzia e sono stati dei bambini, ma
sono davvero in pochi a tenerne conto. Eppure lo stratagemma per vivere
un’esistenza più appagante sarebbe proprio quello di riscoprire il bambino che
è dentro di noi e di ascoltare la sua voce. I bambini non sono adulti in miniatura.
Sono gli adulti ad essere bambini un po’ cresciuti, anche se spesso se ne
dimenticano.
Sara aveva seguito con attenzione quanto le avevo detto, dai
suoi occhi un sorriso appena celato.
-
Grazie,
grazie davvero, comincerò questa sera e nel pomeriggio verrò a trovala con mio
padre.
-
Ti
lascio al tuo lavoro, avremo tempo di conversare.
Mi alzai e mi feci accompagnare all’uscita.
Per due pomeriggi di seguito, su mio reiterato invito, vennero a trovarmi
Giovanni e sua figlia Sara. Trovai il mio vecchio compagno di scopone un po’
giù, ma ben disposto al dialogo e a sfogliare con piacere le foglie ingiallite
del passato. Riuscii un pomeriggio a portarlo al cinema a vedere un film
umoristico e ricondurlo al dialogo. Sara attenziono’ i crescenti cambiamenti del
padre che pian piano riguadagnò la piazza, il circolo, talvolta il bar e la
voglia di recarsi all’edicola a prendere il giornale.
Un mattino, dopo che Sara aveva finito con i prelievi, la pregai di
accompagnarmi nell’ambulatorio del mio medico per farmi scrivere le ricette che
consentivano a mia moglie di prelevare in farmacia le sue medicine. Ad onor del
vero, prima di uscire di casa, mia moglie mi aveva dato l’appunto con l’elenco
delle tre specialità da farmi prescrivere, lo avevo messo in tasca ma volutamente
feci finta di averlo perduto strada facendo. Appena dentro con Sara, mi
avvicinai al tavolo della segretaria che dialogava a bassa voce col medico, una
giovane signora. Tirai dalla tasca il cellulare, composi il numero di mia
moglie e le chiesi di elencarmi le tre specialità medicinali che man mano
appuntai nell’angolo superiore di un avviso che il medico aveva fatto affiggere
alla parete. Il medico alzò gli occhi, poi venne dietro di me e, devo dire in
maniera cortese, mi apostrofò perché le avevo imbrattato l’avviso. Chiesi scusa
e feci notare che in giro per la sala non c’era neppure un depliant
pubblicitario, che di solito abbondano,
da usare all’uopo. La segretaria mi porse dopo un po’ le ricette, ed io
ritagliai il piccolo angolino di carta in cima all’avviso, senza che questo
abbia perso la sua efficacia. Sara mi chiese se potevamo andar via ed io
sottovoce le chiesi di temporeggiare e di notare cosa stava succedendo in
quella sala d’attesa. Ad una ad una le signore che aspettavano il turno per
essere visitate dal medico si alzarono e andarono a leggere quell’avviso che,
prima e per i giorni antecedenti quasi nessuno aveva notato, poi piccoli
brusii, piccole occhiatine d’intesa, commenti sull’assenza di un foglio di
carta per appuntare persino il turno e commenti su un anziano docente che
dimentica le prescrizioni per la moglie. Usciti all’esterno, tirai di tasca il
biglietto che mia moglie mi aveva dato e, mostrandolo a Sara le dissi:
-
Mia cara, ti ho invitato di proposito ad
accompagnarmi, volevo farti sentire i commenti in una sala d’attesa, come è
vestita la gente, come diventa insofferente per i tempi lunghi , come innesca i
dialoghi con chi sta seduto accanto per ingannare il tempo, come è alla ricerca
di consensi per le cure fatte da se, come giudica i comportamento degli altri,
come talvolta si isola guardando e smanettando il suo telefonino. Gli studi
professionali, le sale d’attesa, le biglietterie della stazione, le fermate dei
tram, le assemblee in chiesa, i lunghi turni all’ufficio postale o in banca,
sono finestre aperte sul mondo che ci circonda. Ciascuno di noi è come uno
specchio animato in cui si riflettono incessantemente gli infiniti aspetti del
mondo esteriore e si ridestano di continuo nuovi mondi di sensazioni, di
immagini, di pensieri, di sentimenti. I nostri sensi vengono colpiti e tanto
giunge alla nostra coscienza!
Il riso del mattino, il suono di una campana, la gente che va di fretta,
il grido degli ambulanti, il vocio sempre festoso dei bambini che s’avviano a
scuola, una rissa o l’odore di fritto che arriva da chi prepara il cibo di
strada, il tuono o lo scrosciar della grandine, la cortesia di una vecchina che
fa attraversare la strada ad uno scolaretto. Uno scrittore raccoglie tutto ciò,
lo fa diventare patrimonio della sua mente, prova a vivere con i personaggi
ogni scena. Tu accorgiti che le commozioni tragiche o meno tragiche possano
essere così intense e profonde che non si dimenticano. E’ nel bisogno di
esprimere ciò che vive nell’animo la radice dell’Arte.
Camminammo lentamente verso il laboratorio di analisi, Sara non disse una
parola. Davanti al bar le chiesi se avesse gradito un caffè.
-
Si
grazie professore, ci vuole un caffè, dapprima non avevo capito, ora ho molto
da riflettere, grazie.
Dopo avere bevuto i caffè ci riavviammo verso il laboratorio.
-
Domattina
tornerò dal mio medico, le chiederò scusa per averle imbrattato un angolino del
suo avviso ai pazienti, non potrò spiegarle la motivazione del mio gesto ma
troverò le parole giuste per farmi perdonare, userò la scusa della labilità
della memoria per l’età che mi ritrovo, ci riuscirò? … spero di si!
Sara sorrise e mi prese sottobraccio:
-
Grazie
per la lezione di stamattina, ho capito che il mondo che ci circonda ci dice
una infinità di cose, che l’uomo non finisce mai di apprendere e che rimane
eternamente scolaro. La grande Arte, l’ascolto, è la via che conduce alla
maestria. L’uomo deve tendere alla maestria e, come il concetto di limite
matematico, acquisirà consapevolezza che mai la raggiungerà.
-
Brava!
E’ così Sara! Ora puoi cominciare a scrivere il tuo libro, il guscio in cui eri
rinchiusa si va aprendo; i libri e la strada sono i più grandi maestri!
Quando, dopo quattro mesi, Sara mi portò il dattiloscritto
per leggerlo, notai la nota in corsivo: “Al
mio maestro di vita…..” la risposta fu una lacrima di commozione e un
singhiozzo.
Se vi è piaciuta o meno, se volete lasciate un commento, grazie!