sabato 22 maggio 2021

LE BELLEZZE NON SI POSSONO SOMMARE . Racconto breve . 23.05.2021

 

 

 


 

 

 

 

I RACCONTI DEL BORGO

 

Mario Scamardo

 

LE BELLEZZE NON SI POSSONO SOMMARE



                                                               Caterina Sforza

Giulia Gammarra, ultima marchesa di Bosconovello, dopo dodici anni di matrimonio col  conte Furio Nunzio Fargione e dopo avere dato alla luce cinque figli maschi, rimase vedova per un incidente di caccia capitato al nobile coniuge. Giulia, sempre bella, non era mai stata una donna fedele, ed anche in gramaglie, riceveva tanti nobiluomini del circondario, tutti aitanti, tutti giovani, tutti possidenti. Erano passati circa sedici mesi dalla dipartita del conte Furio Nunzio, Giulia Gammarra si accorse di essere incinta. Per la sua mente passarono tante decisioni, anche quella di liberarsi del feto per opera di una mammana capace di mantenere il segreto, ma la sua fede di cattolica praticante, le impedì di compire l’insano gesto. Con una scusa banale si trasferì nella sua villa di campagna nel feudo di Balatella, donatale da suo padre e, con l’assistenza di una amica fidatissima, il 21 giugno del 1899 partorì una bambina che chiamò Adelaide e la consegnò, assieme ad una cospicua somma di denaro, ad una balia che, tre volte al mese la portò alla villa di Balatella affinché la madre naturale la potesse in ogni istante vedere ed abbracciare. 




Ad onta dei sei parti Giulia Gammarra,  con i suoi trentaquattro anni, era una tra le più belle donne dell’intero territorio. Il suo fisico era perfetto e i suoi occhi sprigionavano luce in ogni momento della giornata. La marchesa di Bosconovello era una divoratrice di libri, specialmente di testi che trattavano di alchimia e, quindi, di esoterismo. Lei passava parecchie ore in giardino a coltivare piante medicinali, poi ne raccoglieva le foglie, i fiori o le radici e in un piccolo laboratorio adiacente alla serra, si adoprava tra gli alambicchi ottenendo profumi, pomate, unguenti, creme per la pelle emollienti ed idratanti e per il viso che usava tutti i giorni.
Nel laboratorio c’era uno scrittoio con un paio di cassetti pieni di libri di autori alchemici che Giulia consultava molto spesso. Un testo del XIV secolo faceva bella mostra sullo scrittoio, “Liber thesauri pauperum” attribuito a Riccardo o Rinaldo di Villanova da dove si rileva che il vino e la vite sono anche utilizzati per diversi usi: Experimentu a duluri di denti e di gengivi: Cui si lava la bucca una fiata lu misi cum lu vinu dundi sianu cocti radicati di titimallu nun avj mai duluri di denti et sana lu duluri. (Rimedio al mal di denti e di gengive: Chi si lava la bocca una volta al mese con il vino dove siano state cotte radici di titimaglio (euphorbia helioscopia) non ha in nessun tempo mal di denti ed è un efficace rimedio al dolore.)
A lu duluri di rini : Piglia salvia domestica garrofali cum bonu vinu et bivandi quilla chi pati lu duluri et guarirà.(Rimedio al mal di reni: Prendi salvia omestica, garofani con buon vino e bevi: quella parte che fa male guarirà).
Adelaide, che portava il cognome della nutrice Maranello, man mano cresceva e si affezionava ogni giorno di più a Giulia e ogni giorno di più i suoi occhi grandi e neri brillavano come quelli della sua mamma naturale e, appena compì sedici anni e varcò la soglia del palazzo di Bosconovello, puntò lo sguardo su una tela che raffigurava la marchesa giovanissima che le assomigliava in maniera impressionante. Anche la marchesa si accorse della somiglianza perfetta ed i suoi occhi si inumidirono tanto da farla ricorrere al fazzoletto che portava infilato nel polsino sinistro. Adelaide per volontà della marchesa ebbe due precettori che la istruirono, uno si dedicò ad insegnarle la musica e a suonare il pianoforte ed uno curò il suo acculturamento per quanto riguardava la botanica e, soprattutto le piante officinali. Una forma virale afflisse le genti del posto ed un mattino arrivò la triste notizia che la nutrice di Adelaide era passata a miglior vita. Dopo che la ragazza, colmata dalle premure di Giulia Gammarra, la sua vera mamma, elaborò il lutto, timidamente le fu chiesto con le dovute cautele se avesse gradito essere adottata da lei. Adelaide attese un po’ di giorni poi, a capo chino, proprio davanti a quel quadro che l’aveva impressionato entrando in quella casa, accettò di essere adottata e quasi istintivamente prese ambedue le mani della marchesa: - mamma, da oggi voglio essere la sorella più piccola di sei fratelli, buttò le braccia al collo di sua madre e pianse di gioia. I fratelli arrivarono alla spicciolata e tutti si strinsero in un abbraccio, come se tutti conoscessero una verità che era soltanto un segreto tra la marchesa e la balia Maranello. Il carisma della marchesa era immenso e tutti e cinque i figli, educati rigidamente, abituati alla presenza in casa di Adelaide, accettarono il nobile gesto della madre e lo condivisero senza ombra alcuna. Un mattino di maggio, quando la luce del sole accorciò le ombre dei tanti cipressi del viale, giunse a casa Gammarra il notaio Agostinelli che formalizzò l’adozione della fanciulla che da quel momento si chiamò, con l’assenso di tutti e cinque i fratelli, Adelaide Gammarra marchesa di Bosconovello.
Giulia volle rendere noto quanto era avvenuto e, nell’immenso giardino di casa sua, in un assolato pomeriggio di fine giugno, organizzò una grande festa. Adelaide venne presentata a tutti e nei giorni successivi la notizia raggiunse ogni angolo remoto della regione. La festa durò fino a notte inoltrata, tutte le fanciulle presenti le fecero miriadi di domande alle quali la ragazza rispose con garbo e sempre sorridendo e tutte chiesero di rincontrarla e la invitarono a loro volta nelle proprie dimore. Giulia notò ogni particolare e fu contenta e soddisfatta e, quando l’ultimo invitato andò via, sedette in salotto attorniata dai figli e raccolse da ognuno le proprie impressioni, li baciò sulla fronte e diede loro la buonanotte. 

 


I giorni si susseguirono ai giorni e Giulia ed Adelaide cominciarono a vivere in simbiosi. La ragazza apprese dalla mamma le tecniche per la scelta, la coltivazione, la raccolta di tantissime piante officinali e, nel piccolo laboratorio adiacente alla serra, preparò decotti, tisane, pomate e creme, distillò essenze e preparò profumi. Un pomeriggio, dopo la visita di un paio di amiche, aprì il vecchio trattato di Riccardo di Villanova  e puntò il dito su un capoverso e lesse: A fari li capiddi brundi pigla radicata di listincu e radicata di viti e fandi chinniri et di la ditta chinniri fandi lixia e a la ditta lixia mecti fezza di vinu blancu e bugli la lixia cum la fecza et poi tindi lava la testa ki farrai li capjlli multi brundi belli e riczi. (Per fare i capelli biondi prendi radici di lentisco pistacca lentiscus e radici di viti, riducili in cenere: di detta cenere fanne liscivia, unisci alla liscivia feccia di vino bianco e acanto achanthus sativus; fai bollire la liscivia con la feccia dopo di che lavati la testa con questa mistura. I capelli ti diventeranno molto biondi, belli e ricci). Quanto letto la colpì; cambiare colore ai capelli, tante ragazze lo sognavano, chissà che quel vecchio trattato di un vecchio alchimista non dicesse il vero! Nei giorni successivi ne parlò con sua madre, si procurò quanto le serviva e dopo avere fatto bollire la liscivia con la feccia di vino bianco, attese che il liquido si raffreddasse e cercò di capire se, dosando la feccia di vino, si potessero ottenere tonalità di biondo diverse. I capelli di Adelaide erano neri corvini, in tre lavaggi , intervenendo sulle dosi di feccia e sui tempi di lavaggio, ottenne tre tonalità diverse, appuntò tutto su un quaderno e, di volta in volta le sfoggiò sotto gli occhi meravigliati, sia di sua madre che delle sue amiche. Tutte le chiesero una magica pozione, in tante cambiarono il loro colore di capelli, biondo platino, castano chiaro, biondo cenere, eccetera. Adelaide ritornò una ultima volta a consultare il testo del Villanova, quando volendo preparare una crema di bellezza da spalmare in tutto il corpo, viso compreso, ricordò che lo stesso indicava l’uso dell’alcool contenuto nel vino e si convinse che la sua crema alla calendula selvatica necessitasse per avere l’efficacia dovuta di una piccola quantità di alcool.
La proprietari di la rosa marina: Itemfa bugliri li fogli cum vinu blancu ki sia nectu di acqua e lavatindi la facchi et aviraila bella. (Proprietà del rosmarino. Parimenti fai bollire le foglie di rosmarino con vino bianco non annacquato, lavati tutti i giorni la faccia e l’avrai sempre più bella).
Sotto lo sguardo compiaciuto di Giulia Gammarra la giovane marchesina distillò il succo di calendula selvatica, lo dosò, aggiunse olio si mandorle, una dose di glicerina, vino bianco dove erano state bollite ciuffetti di rosmarino e per finire aggiunse una dose di olio di oliva e due cucchiai di panna di latte. Aspettò un po’, poi colò il tutto in una zangola (vecchio strumento per fare il burro), un cilindro tronco-cilindrico con il fondo chiuso e un coperchio forato a centro dal quale doveva passare lo stantuffo con il disco di legno dal diametro leggermente inferiore a quello del cilindro, atto ad agitare il contenuto. Iniziò a sbattere per circa due ore e, addensatosi il liquido tirò fuori l’emulsione, una crema di colore ambrato e delicatamente profumata. Giulia, a lavoro finito, vi intinse il polpastrello del dito medio della mano destra e spalmò la crema sul dorso della mano sinistra, avvicinò la mano al naso ed odorò cogliendo il tenue profumo di calendula misto al profumo dell’olio di mandorla e ad una tenue traccia di rosmarino fiorito. Riportò la mano al naso parecchie volte ed alla fine si sentì di suggerire alla figlia di emulsionare a parte l’olio d’oliva e di aggiungerlo nella zangola per ultimo, al fine di accentuarne la fragranza. Un mercoledì pomeriggio, giorno in cui di solito la marchesa riceveva gli ospiti, i salotti di casa Gammarra si riempirono di belle dame e di splendide fanciulle. Quattro servitori con enormi vassoi stracolmi di leccornie di ogni sorta e altri quattro con vassoi coi flute colmi di vini frizzanti. Dopo qualche ora che era servita a dare sfogo allo scambio di notizie, alle piccole chiacchiere e al pettegolare, Giulia Gammarra chiese alla figlia Adelaide di mostrare la nuova crema di bellezza. Entrò un servitore con un carrello e un elegante cesto in vimini orlato di fine trine, colmo si tanti vasetti quanto erano le famiglie invitate. Adelaide parlò dei suoi studi, delle piante officinali e delle cure colturali, della raccolta di fiori, frutti, foglie o parte di pianta, dei testi consultati e dei metodi per arrivare alla crema. La fanciulla aprì un vasetto, si avvicinò alla dama che le stava seduta di fronte, donna Margherita Cimò e pregò la dama di intingere il dito nella crema e la invitò a spalmarla sul dorso dell’altra mano e frizionare, poi la pregò di annusare per verificarne la gradevolezza e, riscosso il consenso compiaciuto sia della dama che della di lei figlia, fece distribuire da un cameriere i vasetti che furono molto graditi. La dama chiuse il il vasetto, lo porse alla figliola e alzandosi in piedi applaudì Adelaide e si complimentò con lei, poi:

-         Cara marchesina, ammiro il vostro impegno, anche la vostra mamma si è dedicata alla cura di piante particolari, spesso riceveva le visite nella serra, noi la invidiavamo per la sua pazienza e dedizione e siccome non ha mai perso un briciolo della sua bellezza e del suo fascino, abbiamo avuto il sospetto che avesse scoperto una pozione capace di mantenerla sempre giovane e bella.


 

 

-    Donna Margherita, voi siete una bellissima signora e con voi le vostre due figlie Vittoria e Clementina, mamma non ha trovato l’elisir di lunga via, come me ha fatto degli studi di botanica e ha curato con amore le sue piante. Io vi ringrazio per i vostri complimenti e per gli assensi di tutte le dame in questo pomeriggio presenti. La crema che ho preparato e che voi avete accettato, non è soltanto un profumo, ma un unguento da spalmare su tutto il corpo al fine di mantenere la pelle giovane oltre che profumata. Al prossimo nostro gradito incontro, raccoglierò le vostre impressioni che mi aiuteranno a fare sempre meglio. Vi ringrazio e, mentre voi dialogherete, io intratterrò se lo vogliono, le vostre figlie nella serra, dove troveremo oltre ai dolcetti, tanti sciroppi di frutta più consoni alla nostra giovane età.

Le ragazze si strinsero attorno ad Adelaide, guadagnarono il grande corridoio che le portò in giardino e, quindi, nella serra illuminata a festa.
La notizia, anche col passaparola raggiunse in altre città tutte le dame e non solo della regione. La crema preparata dalla marchesina Adelaide fu richiesta tanto da far decidere la marchesa Gammarra di allestire un grosso laboratorio e di produrre la crema, ottenuti tutti i permessi e le licenze necessarie, su scala industriale. L’industria, di dimensioni modeste, produsse vasetti etichettati “
Bosconovello – Crema per il corpo”. In pochi anni Adelaide produsse profumi, ciprie, acqua di colonia e coloranti per i capelli e quello che era un laboratorio si trasformò in una grande industria capace di far lavorare tante maestranze.
Giulia Gammarra festeggiò i suoi sessant’anni nel giardino della sua dimora, a breve Adelaide avrebbe compiuto ventotto anni. Quando la giovane donna, nello splendore della sua bellezza, accompagnò la sua mamma in giardino, fresca e sempre più bella, come se il tempo si fosse fermato, gli invitati tutti, dame e cavalieri, si cimentarono in un concerto di applausi ed ogni famiglia presente consegnò un dono. Giulia Gammarra ringraziò commossa tutti e, con un cenno diede il via alla serata.
Adelaide si frequentò e ricevette le visite  del conte Alfredo Villapesa, unico figlio del conte Ambrogio e della contessa Flavia. Il giovane conte viveva parte dell’anno con i nonni materni a Palermo dove esercitava la professione di medico oculista, in uno studio professionale allestito al piano ammezzato del loro palazzo che si affacciava nella via Maqueda, in prossimità dei Quattro Canti, all’incrocio col Cassaro. Adelaide si innamorò tanto di quella città fantastica e, tutte le volte che ne ebbe opportunità, la visitò per lungo e per largo cogliendone tutti gli aspetti, statuaria, monumenti, giardini e ville, parchi, palazzi storici, piazze, teatri, chiese e quant’altro. L’Orto Botanico l’affascinò, così come l’affascinarono tutte le costruzioni arabo normanne e i tre grandi mercati della città, la Vucciria, Ballarò e il Capo. Giulia Gammarra conosceva bene i conti Villapesa e quando il conte Ambrogio e la contessa Flavia andarono a trovarla per chiedere, per il loro unico figliolo, la mano di Adelaide, mostrò tutta la sua gioia ed informò di tanto i suoi cinque figli maschi che gioirono anche loro. Il matrimonio si celebrò un anno dopo nella Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta anche La Martorana. Quindici giorni dopo Giulia Gammarra fu colta da un malore, perse l’equilibrio e ruzzolò per le scale. A nulla valsero le premure, il ricorso ai medici, i tentativi di rianimarla in ogni modo, prima della mezzanotte spirò attorniata dagli affetti più cari. Adelaide scendendo le scale per raggiungere il pianoterra puntò lo sguardo sulla tela che ritraeva sua madre giovane e che le somigliava tanto, cercando in quei tratti un qualcosa che la conducesse ad una frase che sua madre le aveva sempre ripetuto e lei non aveva mai capito: Non possono coesistere due marchese di Bosconovello, quando la più giovane raggiungerà il massimo della bellezza, per un sortilegio inspiegabile, la meno giovane verrà meno… le bellezze non potranno mai sommarsi!



                        Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio


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