I RACCONTI DEL BORGO
Mario Scamardo
LE BELLEZZE NON SI POSSONO SOMMARE
Giulia Gammarra, ultima marchesa di Bosconovello, dopo dodici anni di matrimonio col conte Furio Nunzio Fargione e dopo avere dato alla luce cinque figli maschi, rimase vedova per un incidente di caccia capitato al nobile coniuge. Giulia, sempre bella, non era mai stata una donna fedele, ed anche in gramaglie, riceveva tanti nobiluomini del circondario, tutti aitanti, tutti giovani, tutti possidenti. Erano passati circa sedici mesi dalla dipartita del conte Furio Nunzio, Giulia Gammarra si accorse di essere incinta. Per la sua mente passarono tante decisioni, anche quella di liberarsi del feto per opera di una mammana capace di mantenere il segreto, ma la sua fede di cattolica praticante, le impedì di compire l’insano gesto. Con una scusa banale si trasferì nella sua villa di campagna nel feudo di Balatella, donatale da suo padre e, con l’assistenza di una amica fidatissima, il 21 giugno del 1899 partorì una bambina che chiamò Adelaide e la consegnò, assieme ad una cospicua somma di denaro, ad una balia che, tre volte al mese la portò alla villa di Balatella affinché la madre naturale la potesse in ogni istante vedere ed abbracciare.
Ad onta dei sei parti Giulia Gammarra,
con i suoi trentaquattro anni, era una tra le più belle donne
dell’intero territorio. Il suo fisico era perfetto e i suoi occhi sprigionavano
luce in ogni momento della giornata. La marchesa di Bosconovello era una
divoratrice di libri, specialmente di testi che trattavano di alchimia e,
quindi, di esoterismo. Lei passava parecchie ore in giardino a coltivare piante
medicinali, poi ne raccoglieva le foglie, i fiori o le radici e in un piccolo
laboratorio adiacente alla serra, si adoprava tra gli alambicchi ottenendo
profumi, pomate, unguenti, creme per la pelle emollienti ed idratanti e per il
viso che usava tutti i giorni.
Nel laboratorio c’era uno scrittoio con un paio di cassetti pieni di libri di
autori alchemici che Giulia consultava molto spesso. Un testo del XIV secolo
faceva bella mostra sullo scrittoio, “Liber
thesauri pauperum” attribuito a Riccardo o Rinaldo di Villanova da dove si
rileva che il vino e la vite sono anche utilizzati per diversi usi: Experimentu a duluri di denti e di
gengivi: Cui si lava la bucca una fiata lu misi cum lu vinu dundi sianu
cocti radicati di titimallu nun avj mai duluri di denti et sana lu duluri. (Rimedio
al mal di denti e di gengive: Chi si lava la bocca una volta al mese con il
vino dove siano state cotte radici di titimaglio (euphorbia helioscopia) non ha in nessun tempo mal di denti ed è un
efficace rimedio al dolore.)
A lu duluri di rini : Piglia salvia domestica garrofali cum bonu
vinu et bivandi quilla chi pati lu duluri et guarirà.(Rimedio al mal di
reni: Prendi salvia omestica, garofani con buon vino e bevi: quella parte
che fa male guarirà).
Adelaide, che portava il cognome della nutrice Maranello, man mano cresceva e
si affezionava ogni giorno di più a Giulia e ogni giorno di più i suoi occhi
grandi e neri brillavano come quelli della sua mamma naturale e, appena compì
sedici anni e varcò la soglia del palazzo di Bosconovello, puntò lo sguardo su
una tela che raffigurava la marchesa giovanissima che le assomigliava in
maniera impressionante. Anche la marchesa si accorse della somiglianza perfetta
ed i suoi occhi si inumidirono tanto da farla ricorrere al fazzoletto che
portava infilato nel polsino sinistro. Adelaide per volontà della marchesa ebbe
due precettori che la istruirono, uno si dedicò ad insegnarle la musica e a
suonare il pianoforte ed uno curò il suo acculturamento per quanto riguardava
la botanica e, soprattutto le piante officinali. Una forma virale afflisse le
genti del posto ed un mattino arrivò la triste notizia che la nutrice di
Adelaide era passata a miglior vita. Dopo che la ragazza, colmata dalle premure
di Giulia Gammarra, la sua vera mamma, elaborò il lutto, timidamente le fu chiesto
con le dovute cautele se avesse gradito essere adottata da lei. Adelaide attese
un po’ di giorni poi, a capo chino, proprio davanti a quel quadro che l’aveva
impressionato entrando in quella casa, accettò di essere adottata e quasi
istintivamente prese ambedue le mani della marchesa: - mamma, da oggi voglio
essere la sorella più piccola di sei fratelli, buttò le braccia al collo di sua
madre e pianse di gioia. I fratelli arrivarono alla spicciolata e tutti si
strinsero in un abbraccio, come se tutti conoscessero una verità che era
soltanto un segreto tra la marchesa e la balia Maranello. Il carisma della
marchesa era immenso e tutti e cinque i figli, educati rigidamente, abituati
alla presenza in casa di Adelaide, accettarono il nobile gesto della madre e lo
condivisero senza ombra alcuna. Un mattino di maggio, quando la luce del sole
accorciò le ombre dei tanti cipressi del viale, giunse a casa Gammarra il
notaio Agostinelli che formalizzò l’adozione della fanciulla che da quel
momento si chiamò, con l’assenso di tutti e cinque i fratelli, Adelaide
Gammarra marchesa di Bosconovello.
Giulia volle rendere noto quanto era avvenuto e, nell’immenso giardino di casa
sua, in un assolato pomeriggio di fine giugno, organizzò una grande festa.
Adelaide venne presentata a tutti e nei giorni successivi la notizia raggiunse
ogni angolo remoto della regione. La festa durò fino a notte inoltrata, tutte
le fanciulle presenti le fecero miriadi di domande alle quali la ragazza
rispose con garbo e sempre sorridendo e tutte chiesero di rincontrarla e la
invitarono a loro volta nelle proprie dimore. Giulia notò ogni particolare e fu
contenta e soddisfatta e, quando l’ultimo invitato andò via, sedette in salotto
attorniata dai figli e raccolse da ognuno le proprie impressioni, li baciò
sulla fronte e diede loro la buonanotte.
I giorni si susseguirono ai giorni e Giulia ed Adelaide
cominciarono a vivere in simbiosi. La ragazza apprese dalla mamma le tecniche
per la scelta, la coltivazione, la raccolta di tantissime piante officinali e,
nel piccolo laboratorio adiacente alla serra, preparò decotti, tisane, pomate e
creme, distillò essenze e preparò profumi. Un pomeriggio, dopo la visita di un
paio di amiche, aprì il vecchio trattato di Riccardo di Villanova e puntò il dito su un capoverso e lesse: A fari li capiddi brundi pigla radicata di
listincu e radicata di viti e fandi chinniri et di la ditta chinniri fandi
lixia e a la ditta lixia mecti fezza di vinu blancu e bugli la lixia cum la
fecza et poi tindi lava la testa ki farrai li capjlli multi brundi belli e
riczi. (Per fare i capelli biondi prendi radici di lentisco pistacca lentiscus e radici di viti,
riducili in cenere: di detta cenere fanne liscivia, unisci alla liscivia feccia
di vino bianco e acanto achanthus sativus;
fai bollire la liscivia con la feccia dopo di che lavati la testa con questa
mistura. I capelli ti diventeranno molto biondi, belli e ricci). Quanto letto
la colpì; cambiare colore ai capelli, tante ragazze lo sognavano, chissà che
quel vecchio trattato di un vecchio alchimista non dicesse il vero! Nei giorni
successivi ne parlò con sua madre, si procurò quanto le serviva e dopo avere
fatto bollire la liscivia con la feccia di vino bianco, attese che il liquido
si raffreddasse e cercò di capire se, dosando la feccia di vino, si potessero
ottenere tonalità di biondo diverse. I capelli di Adelaide erano neri corvini,
in tre lavaggi , intervenendo sulle dosi di feccia e sui tempi di lavaggio,
ottenne tre tonalità diverse, appuntò tutto su un quaderno e, di volta in volta
le sfoggiò sotto gli occhi meravigliati, sia di sua madre che delle sue amiche.
Tutte le chiesero una magica pozione, in tante cambiarono il loro colore di
capelli, biondo platino, castano chiaro, biondo cenere, eccetera. Adelaide
ritornò una ultima volta a consultare il testo del Villanova, quando volendo
preparare una crema di bellezza da spalmare in tutto il corpo, viso compreso,
ricordò che lo stesso indicava l’uso dell’alcool contenuto nel vino e si
convinse che la sua crema alla calendula selvatica necessitasse per avere
l’efficacia dovuta di una piccola quantità di alcool.
La proprietari di la rosa marina:
Itemfa bugliri li fogli cum vinu blancu ki sia nectu di acqua e lavatindi la
facchi et aviraila bella. (Proprietà del rosmarino. Parimenti fai
bollire le foglie di rosmarino con vino bianco non annacquato, lavati tutti i
giorni la faccia e l’avrai sempre più bella).
Sotto lo sguardo compiaciuto di Giulia Gammarra la giovane marchesina distillò
il succo di calendula selvatica, lo dosò, aggiunse olio si mandorle, una dose
di glicerina, vino bianco dove erano state bollite ciuffetti di rosmarino e per
finire aggiunse una dose di olio di oliva e due cucchiai di panna di latte.
Aspettò un po’, poi colò il tutto in una zangola (vecchio strumento per fare il
burro), un cilindro tronco-cilindrico con il fondo chiuso e un coperchio forato
a centro dal quale doveva passare lo stantuffo con il disco di legno dal
diametro leggermente inferiore a quello del cilindro, atto ad agitare il
contenuto. Iniziò a sbattere per circa due ore e, addensatosi il liquido tirò
fuori l’emulsione, una crema di colore ambrato e delicatamente profumata.
Giulia, a lavoro finito, vi intinse il polpastrello del dito medio della mano
destra e spalmò la crema sul dorso della mano sinistra, avvicinò la mano al
naso ed odorò cogliendo il tenue profumo di calendula misto al profumo
dell’olio di mandorla e ad una tenue traccia di rosmarino fiorito. Riportò la
mano al naso parecchie volte ed alla fine si sentì di suggerire alla figlia di emulsionare
a parte l’olio d’oliva e di aggiungerlo nella zangola per ultimo, al fine di
accentuarne la fragranza. Un mercoledì pomeriggio, giorno in cui di solito la
marchesa riceveva gli ospiti, i salotti di casa Gammarra si riempirono di belle
dame e di splendide fanciulle. Quattro servitori con enormi vassoi stracolmi di
leccornie di ogni sorta e altri quattro con vassoi coi flute colmi di vini
frizzanti. Dopo qualche ora che era servita a dare sfogo allo scambio di
notizie, alle piccole chiacchiere e al pettegolare, Giulia Gammarra chiese alla
figlia Adelaide di mostrare la nuova crema di bellezza. Entrò un servitore con
un carrello e un elegante cesto in vimini orlato di fine trine, colmo si tanti
vasetti quanto erano le famiglie invitate. Adelaide parlò dei suoi studi, delle
piante officinali e delle cure colturali, della raccolta di fiori, frutti,
foglie o parte di pianta, dei testi consultati e dei metodi per arrivare alla
crema. La fanciulla aprì un vasetto, si avvicinò alla dama che le stava seduta
di fronte, donna Margherita Cimò e pregò la dama di intingere il dito nella
crema e la invitò a spalmarla sul dorso dell’altra mano e frizionare, poi la
pregò di annusare per verificarne la gradevolezza e, riscosso il consenso
compiaciuto sia della dama che della di lei figlia, fece distribuire da un
cameriere i vasetti che furono molto graditi. La dama chiuse il il vasetto, lo
porse alla figliola e alzandosi in piedi applaudì Adelaide e si complimentò con
lei, poi:
-
Cara
marchesina, ammiro il vostro impegno, anche la vostra mamma si è dedicata alla
cura di piante particolari, spesso riceveva le visite nella serra, noi la
invidiavamo per la sua pazienza e dedizione e siccome non ha mai perso un
briciolo della sua bellezza e del suo fascino, abbiamo avuto il sospetto che
avesse scoperto una pozione capace di mantenerla sempre giovane e bella.
- Donna Margherita, voi siete una bellissima signora e con voi le vostre due figlie Vittoria e Clementina, mamma non ha trovato l’elisir di lunga via, come me ha fatto degli studi di botanica e ha curato con amore le sue piante. Io vi ringrazio per i vostri complimenti e per gli assensi di tutte le dame in questo pomeriggio presenti. La crema che ho preparato e che voi avete accettato, non è soltanto un profumo, ma un unguento da spalmare su tutto il corpo al fine di mantenere la pelle giovane oltre che profumata. Al prossimo nostro gradito incontro, raccoglierò le vostre impressioni che mi aiuteranno a fare sempre meglio. Vi ringrazio e, mentre voi dialogherete, io intratterrò se lo vogliono, le vostre figlie nella serra, dove troveremo oltre ai dolcetti, tanti sciroppi di frutta più consoni alla nostra giovane età.
Le ragazze si strinsero attorno ad Adelaide, guadagnarono il
grande corridoio che le portò in giardino e, quindi, nella serra illuminata a
festa.
La notizia, anche col passaparola raggiunse in altre città tutte le dame e non
solo della regione. La crema preparata dalla marchesina Adelaide fu richiesta
tanto da far decidere la marchesa Gammarra di allestire un grosso laboratorio e
di produrre la crema, ottenuti tutti i permessi e le licenze necessarie, su
scala industriale. L’industria, di dimensioni modeste, produsse vasetti
etichettati “Bosconovello –
Crema per il corpo”. In pochi anni Adelaide produsse profumi,
ciprie, acqua di colonia e coloranti per i capelli e quello che era un
laboratorio si trasformò in una grande industria capace di far lavorare tante
maestranze.
Giulia Gammarra festeggiò i suoi sessant’anni nel giardino della sua dimora, a
breve Adelaide avrebbe compiuto ventotto anni. Quando la giovane donna, nello
splendore della sua bellezza, accompagnò la sua mamma in giardino, fresca e
sempre più bella, come se il tempo si fosse fermato, gli invitati tutti, dame e
cavalieri, si cimentarono in un concerto di applausi ed ogni famiglia presente
consegnò un dono. Giulia Gammarra ringraziò commossa tutti e, con un cenno
diede il via alla serata.
Adelaide si frequentò e ricevette le visite
del conte Alfredo Villapesa, unico figlio del conte Ambrogio e della
contessa Flavia. Il giovane conte viveva parte dell’anno con i nonni materni a
Palermo dove esercitava la professione di medico oculista, in uno studio
professionale allestito al piano ammezzato del loro palazzo che si affacciava
nella via Maqueda, in prossimità dei Quattro Canti, all’incrocio col Cassaro.
Adelaide si innamorò tanto di quella città fantastica e, tutte le volte che ne
ebbe opportunità, la visitò per lungo e per largo cogliendone tutti gli
aspetti, statuaria, monumenti, giardini e ville, parchi, palazzi storici,
piazze, teatri, chiese e quant’altro. L’Orto Botanico l’affascinò, così come
l’affascinarono tutte le costruzioni arabo normanne e i tre grandi mercati
della città, la Vucciria, Ballarò e il Capo. Giulia Gammarra conosceva bene i
conti Villapesa e quando il conte Ambrogio e la contessa Flavia andarono a
trovarla per chiedere, per il loro unico figliolo, la mano di Adelaide, mostrò
tutta la sua gioia ed informò di tanto i suoi cinque figli maschi che gioirono
anche loro. Il matrimonio si celebrò un anno dopo nella Chiesa di Santa Maria
dell’Ammiraglio, detta anche La Martorana. Quindici giorni dopo Giulia Gammarra
fu colta da un malore, perse l’equilibrio e ruzzolò per le scale. A nulla
valsero le premure, il ricorso ai medici, i tentativi di rianimarla in ogni
modo, prima della mezzanotte spirò attorniata dagli affetti più cari. Adelaide
scendendo le scale per raggiungere il pianoterra puntò lo sguardo sulla tela
che ritraeva sua madre giovane e che le somigliava tanto, cercando in quei
tratti un qualcosa che la conducesse ad una frase che sua madre le aveva sempre
ripetuto e lei non aveva mai capito: Non possono coesistere due marchese di
Bosconovello, quando la più giovane raggiungerà il massimo della bellezza, per
un sortilegio inspiegabile, la meno giovane verrà meno… le bellezze non
potranno mai sommarsi!
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Grazie!
Affascinante racconto tra realtà e fantasia. Bravo!
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