I RACCONTI DEL BORGO
Mario Scamardo
LA SEDUTA SPIRITICA
Nell’antico Palazzo Grosso, nel centro storico della Palermo
del ‘700 viveva l’ultima della famiglia, la maestra di pianoforte Giovanna
Grosso, sessantenne, che tutti chiamavano “la signorina Annina”. Non si era mai
voluta sposare, così come non aveva voluto mai installare nel suo appartamento,
al primo piano, alcun apparecchio che riproducesse la musica, in quanto
riteneva che i suoni riprodotti erano molto lontani dalle note che sortivano
dal suo enorme pianoforte a coda, posto al centro di un grande salone con la
volta reale affrescata. Annina Grosso era costretta a stare a casa in quanto
affetta da coxartrosi bilaterale; aiutata da Caterina, la sua badante trentenne,
si spostava per casa provvedendo da sola alla cura della persona e, tra un
dolore e l’altro si muoveva per sedersi in poltrona a leggere il quotidiano o
per sedersi al piano, mentre la badante provvedeva alle faccende di casa e a
cucinare. Annina riceveva la pensione dallo Stato per avere insegnato
trent’anni al Conservatorio della città, riscuoteva gli affitti di cinque
appartamenti del suo palazzo che aveva
destinato, con un testamento depositato da un notaio, in parte ad una Opera Pia
che si occupava della accoglienza delle ragazze madri ed in parte alla sua
badante. Un pomeriggio si ed uno no, intorno alle quindici Gianna Fiorenza, mezzosoprano
ed ex corista del Teatro Massimo, sessantenne anche lei, vedova da tanto tempo,
compagna di scuola alle elementari, che abitava al piano di sopra, andava a
trovare la pianista, pigliavano un caffè rigorosamente sortito da una vecchia
caffettiera napoletana e, spostandosi nel salone provavano e riprovavano delle
arie, come se stessero preparandosi ad un concerto. Caterina, con la pazienza di sempre,
accompagnava la signora al piano di sopra, scendeva da Arcangelo il portinaio
dello stabile, ritirava l’eventuale posta e la borsetta in plastica che aveva
lasciato il ragazzo del macellaio, quindi risaliva e, dopo avere chiesto ad
Annina se le servisse qualcosa, si chiudeva in cucina a stirare i panni e,
quindi, preparava per la cena, volgendo ogni tanto lo sguardo verso un
minuscolo televisore in bianco e nero posto su un ripiano in formica di colore marrone
accanto al frigorifero.
Tutti i primi ed i terzi venerdì di ogni mese, intorno alle diciassette, si riunivano a casa della signorina Annina: Gianna la corista, Arcangelo il portinaio dello stabile o sua moglie Vitalba, Onofrio Duca il vigile urbano, “fratello Rizzo”, quarantenne, di professione santone e guaritore, Dorotea la parrucchiera, quarantatreenne nubile e Francesca Duca, intesa “l’ippopotamo” perché fortemente obesa, sorella del vigile urbano. Tutti abitavano nello stesso palazzo, tutti si intendevano, a dir loro, di esoterismo, tutti pretendevano di conoscere l’astrologia e l’astronomia, tutti cercavano di interpretare le quartine di Nostradamus e tutti i sogni che ognuno aveva fatto nel corso delle intere due settimane e che ricordava.
Era un primo venerdì e, dopo la ritualità del tè, nel grande salone, tutti gli astanti attesero che Francesca Duca aprisse a caso il testo delle centurie e ponesse il dito, ad occhi chiusi su una quartina. Dopo un segno di croce collettivo, il dito dell’obesa signora si pose sulla quindicesima quartina della prima centuria, guardò tutti negli occhi, inforcò gli occhiali e, dopo un piccolo raschio alla gola iniziò la lettura:
Tutti i primi ed i terzi venerdì di ogni mese, intorno alle diciassette, si riunivano a casa della signorina Annina: Gianna la corista, Arcangelo il portinaio dello stabile o sua moglie Vitalba, Onofrio Duca il vigile urbano, “fratello Rizzo”, quarantenne, di professione santone e guaritore, Dorotea la parrucchiera, quarantatreenne nubile e Francesca Duca, intesa “l’ippopotamo” perché fortemente obesa, sorella del vigile urbano. Tutti abitavano nello stesso palazzo, tutti si intendevano, a dir loro, di esoterismo, tutti pretendevano di conoscere l’astrologia e l’astronomia, tutti cercavano di interpretare le quartine di Nostradamus e tutti i sogni che ognuno aveva fatto nel corso delle intere due settimane e che ricordava.
Era un primo venerdì e, dopo la ritualità del tè, nel grande salone, tutti gli astanti attesero che Francesca Duca aprisse a caso il testo delle centurie e ponesse il dito, ad occhi chiusi su una quartina. Dopo un segno di croce collettivo, il dito dell’obesa signora si pose sulla quindicesima quartina della prima centuria, guardò tutti negli occhi, inforcò gli occhiali e, dopo un piccolo raschio alla gola iniziò la lettura:
“Marte ci minaccia
con bellica forza
settanta volte farà spandere il sangue:
truogolo e rovina dell’Ecclesiastico
e più quelli che da essi non vorranno intendere nulla.”
settanta volte farà spandere il sangue:
truogolo e rovina dell’Ecclesiastico
e più quelli che da essi non vorranno intendere nulla.”
Caterina, la badante, nel pieno della sua giovinezza, non partecipando mai ad alcun dialogo, da spettatrice, si poneva il problema di capire se questi incontri, limitati spesso alle sterili considerazioni degli astanti, non servissero più a confondere che a portar luce nelle loro menti. La padrona di casa aveva un grande ascendente sui suoi ospiti e non si capiva se sfruttasse il suo carisma per avere compagnia o se veramente credesse in un soprannaturale che poteva essere talvolta pilotato e che determinava la vita di ogni uomo. Perché “fratello Rizzo” ascoltava soltanto e non partecipava mai alla discussione?...eppure quest’uomo, che tutti consideravano un guaritore, un taumaturgo, che riceveva tantissime persone ogni giorno per consigli e preghiere, che non chiedeva nulla ma accettava oboli, inginocchiato davanti al suo altarino con mille santini e decine di ceroni accesi, frequentava tutti i venerdì il salotto Grosso, allora bisogna pensare che i venerdì andava per erudirsi e, quindi, conosceva perfettamente l’arte dell’ascolto. Ogni tanto Dorotea la parrucchiera assentiva con la testa ma era sempre distratta da ogni movimento che gli altri facevano, spesso tirava lunghi sospiri e ravviava una ciocca che le cadeva sovente sulla fronte. Arcangelo, quando il dialogo si era concluso, si rivolgeva a “fratello Rizzo” e gli chiedeva:- don Antonio, io di voi mi fido, se non avete parlato è perché quanto detto dalla signorina Annina è perfetto! … poi si alzava per primo e chiedeva di ritirarsi per sostituire la moglie in guardiola prima di chiudere il portone. La pianista si alzava, porgeva a tutti il saluto e, prima che uscissero: - non dimenticate che venerdì prossimo che è il secondo, ci vediamo per la solita seduta!
Casa Grosso, oltre agli arredi che avevano un valore inestimabile, era dotata di una parete mobile che nascondeva tre cassette in ebano, una conteneva gli ori di famiglia, una fortuna, la seconda conteneva il denaro contante, la terza era piena di tutti i documenti, atti notarili e quant’altro. Nessuno conosceva il segreto della parete mobile, ma tutti parlavano del tesoro di casa Grosso, mai in presenza di Caterina la badante; l’unico che aveva fatto sospettare Annina era il santone, “fratello Rizzo”, che ascoltava sempre senza mai parlare , ma che si appoggiava ogni volta che entrava, a tutte le pareti, tamburellando con le nodose nocche su di esse. La maestra di piano lo invitava perché per le sedute spiritiche occorreva che i partecipanti fossero rigorosamente sette ed almeno due che fossero di sesso maschile. Per Pitagora il numero Sette era originato dalla somma del Tre (numero umano) con il Quattro (numero divino). Il Sette esprime la globalità, l’universalità l’equilibrio perfetto e rappresenta un ciclo compiuto e dinamico. Considerato fin dall’antichità un simbolo magico e religioso della perfezione, perché legato al compiersi del ciclo lunare.
Il pomeriggio seguente, la sorella del vigile, bussò alla porta della pianista, Caterina la fece accomodare: - la prego, si accomodi in salone, la signorina è in cucina a guardare un po’ di televisione, l’accompagno subito da lei.
Francesca, l’obesa, si accomodò nel salone , ebbe il tempo di sedersi che arrivò Annina. Dopo i convenevoli:- signorina mia, stanotte ho sognato mia madre il giorno in cui ho fatto la prima comunione, indossava un lungo abito di seta rosa e delle scarpe bianche che toglieva appena uscita dalla chiesa e le lanciava in mezzo ad una grande folla, poi, molto turbata, le cercava senza più trovarle, mentre io ruzzolavo in un burrone senza potermi fermare. Mi sono svegliata con la tachicardia, con gli occhi umidi e singhiozzando. Chissà cosa vuole dirmi mia madre, io sogno di rado o, forse, sogno e non ricordo al mattino. Annina sorrise, le prese le mani e cercò di rincuorarla: - nulla di trascendentale, i sogni sono solo sogni, anche se spesso i nostri cari tentano attraverso i sogni di dirci qualcosa. Vediamo, la mamma fa Cinquantadue l’abito di seta rosa fa Cinque ma significa che andrete incontro a delle novità piacevoli, con le scarpe lanciate tra la folla, vuole raccomandarvi di evitare ogni disaccordo con vostro fratello ed il numero è Settantasette. Rotolare o cadere nel vuoto è la vostra insicurezza ma soprattutto lo stress a cui ogni giorno vi sottoponete. Provate a consultare un dietologo, seguite i suoi consigli, perdete alcuni chili e non siate ostile nei confronti di vostro fratello. La pace che vi suggerisce dall’aldilà vostra madre, vi aiuterà a superare lo stress. Intanto giocatevi 52 – 5 e 77 sulle ruote di Palermo e Napoli, e che la fortuna vi assista!
Non disse nulla Francesca, appuntò i numeri in un foglietto e aspettò assieme ad Annina che Caterina servisse due tazza di tè fumante, poi chiacchierarono un po’ e si misero d’accordo su quando far venire Dorotea la parrucchiera, per potersi sistemare i capelli. Quando Francesca si alzò per andare via, la pianista le disse: - per venerdì pomeriggio devo chiedervi un favore, la mia badante mi ha chiesto di assentarsi perché va a visitare sua sorella che ha partorito proprio stamattina, e rimarrà a casa sua pure il sabato, se voi potete anticipare la vostra venuta, ve ne sarò grata, accoglierete gli ospiti voi, io ho difficoltà a muovermi per casa.
- verrò alle quindici, appena mio fratello mi avrà misurato la pressione, e rimarrò fino a quando non vi sarete seduta a tavola per cenare.
D’un tratto dalla finestra si udirono sirene di ambulanze e chiacchiericci.
- Francesca, affacciatevi, vedete cosa è successo in strada.
- Mamma mia quanta gente!... Ambulanza, polizia e il tram fermo proprio davanti al portone , forse un incidente…
- fra un pò salirà Arcangelo per portarmi gli antinfiammatori che mi ha preso in farmacia, chiederò a lui che è sempre informato di tutto.
Francesca accompagnò alla poltrona la padrona di casa e guadagnò l’uscita.
Il portinaio dello stabile, di solito puntuale, attese che la moglie si apprestasse a chiudere il portone, prelevò dalla guardiola l’incarto con le medicine e salì a bussare alla porta della signorina Annina, attese il rumore del primo paletto e avvertì:
- signorina, sono Arcangelo, sono venuto a portarle le medicine.
Appena sentì il secondo paletto, spinse la porta ed entrò.
- Scusate Arcangelo, cosa è successo con questo andirivieni di sirene.
- Un guaio signorina, una disgrazia, il monaco amico di “fratello Rizzo”, fra Giovanni il gobbo, è finito sotto il tram.
- Poverino, chissa come si sarà fatto male!...adesso come sta?
- Scusate signorina, forse non avete capito, fra Giovanni è morto schiacciato dal tram, una disgrazia, tagliato in due … pensavo che lo sapevate, che qualcuno ve l’avesse detto … fratello Rizzo non ha fatto altro che piangere, oggi non ha voluto ricevere nessuno, anche i ceroni del suo altarino non sono stati accesi, lutto stretto!
- La morte di chiunque mette tristezza, specie se sopravvenuta per incidenti così traumatici. Non aveva parenti Giovanni il gobbo, non era neppure frate, aveva indossato quella specie di tonaca e, non avendo mai lavorato, aveva imparato l’arte di arrangiarsi, recitava le sue preghiere di casa in casa e, scuotendo una cassettina, raccoglieva l’obolo, poi la svuotava due volte al giorno. Sono nata in questo palazzo, ho vissuto in questo quartiere, Giovanni aveva la mia stessa età, lavorava dal fornaio consegnando il pane a domicilio, morta sua madre nessuno lo vide più fino a quando un giorno lo incontrai lungo la strada, vestito da frate mentre agitava tra la folla del mercato la sua cassettina dell’obolo. Mi dispiace che sia morto disgraziato, pace alla sua anima!
Arcangelo non disse una parola, si segnò e andò via.
Venerdì arrivò in fretta, alle sedici in punto, Francesca Duca l’”ippopotamo” bussò alla porta di Annina che, dopo avere guardato dallo spioncino, aprì e la fece accomodare: - Riposatevi dieci minuti, poi aiutatemi a tirare fuori dalla cucina il tavolinetto a tre piedi, i sette ceri da accendere sono dentro la cassapanca assieme alla tovaglia nera. Sapete che non c’è Caterina, tutti hanno confermato che presenzieranno, mi aiuterete quando saremo tutti a preparare un caffè, poi inizieremo.
Francesca assentì con la testa e, accortasi che sulla gonna aveva i resti dello zucchero al velo caduto da un enorme bignè che aveva mangiato prima di uscire di casa, si diede da fare con un fazzolettino.
Un quarto alle diciassette e si sono ritrovati attorno al vassoio col caffè fumante, oltre alla padrona di casa e a Francesca, Dorotea la parrucchiera, Gianna la corista, il vigile urbano, Vitalba la moglie del portinaio e fratello Rizzo, sette come vuole la regola, due maschi e cinque femmine! Vitalba accese i sette ceri posti a terra attorno al tavolo, poi spense il lampadario, chiuse gli scuri della finestra e prese posto accanto al vigile urbano. Tutti posero le mani sul tavolo a palme in giù, toccandosi i propri pollici e i i mignoli degli altri, formando così una catena color carne sul drappo nero con un teschio ricamato al centro che copriva il tavolino.
Dopo una breve concentrazione Annina, ad occhi socchiusi: - Evocheremo lo spirito di fra Giovanni il gobbo morto disgraziato …. Il suo spirito vaga in cerca della sua nuova dimensione.
Il tempo era messo alla pioggia, in lontananza il boato di un tuono, tutti si guardarono negli occhi e Annina, con voce tremolante chiamò:- Giovanni, se sei ancora tra noi, dacci un segno della tua presenza!
Ancora un boato ma molto vicino, la pioggia stava per arrivare, qualcuno affermò che il tavolo si era mosso e fratello Rizzo, che non aveva mai pronunciato una parola, disse di percepire una corrente d’aria, ancora un lampo seguito da un tuono, e tutti sostennero di avvertire la corrente d’aria, effettivamente le fiammelle dei ceri tremolavano
- Giovanni è tra di noi, vuole dirci qualcosa …
Fratello Rizzo reclinò il capo e sottovoce disse:- Accorciate a sei la catena, Sei è il numero Consacrato a Venere perché simbolo della bellezza e della perfezione in quanto deriva sia dalla somma che dal prodotto della triade 1 – 2 – 3 esso rappresenta la Stella che fu il Sigillo di Salomone. Giovanni non può parlare, lo potrà fare tra quattro venerdì, soltanto in presenza di sei anime elette. Io mi alzerò adesso, voi al mio staccare date continuità alla catena, non interrompetela! Al buio, con passo felpato cercherò l’uscita e mi allontanerò per far si che Giovanni rimanga in mezzo a voi ancora per un po’. Mi toglierò le scarpe per non far rumore. Se non lo sentirete, a turno evocatelo tutti e sei, non aspettatevi risposta. Quando spezzerete la catena, rimanete ancora seduti e al buio per un po’, consentirete allo spirito di Giovanni un cammino agevole senza rumori.
Fratello Rizzo si alzò, si tolse le scarpe e si mosse lentamente nel buio con l’intento di raggiungere l’uscio, mentre lampi e tuoni si ripetevano con frequenza e intensità sempre maggiore. Rumori provenivano da ogni dove, mentre Annina evocava continuamente lo spirito di Giovanni e gli chiedeva un segno della sua presenza che avvertisse i partecipanti alla seduta della sua uscita dalla casa. La risposta non tardò ad arrivare, la porta d’ingresso si chiuse sbattendo fortemente. La pianista chiese ad ogni partecipante di rompere la catena ed a Vitalba di spegnere le candele poste a terra, lasciando che la settima, quella che era di Fratello Rizzo, considerato che era stato invitato dallo spirito di Giovanni il gobbo ad uscire immediatamente, fosse lasciata accesa a consumarsi fino alla fine. Francesca accese il grande lampadario ed aperse gli scuri della finestra, tutti si guardarono negli occhi e presero a commentare. Pian pianino Francesca accompagnò tutti all’uscio, sistemò i ceri spenti e la tovaglia nera col teschio ricamato al centro e il tavolino, accompagnò Annina in cucina per la cena e, quindi, sortì sul pianerottolo per andare a preparare per lei e per il fratello.
Annina dopo cena guardò il piccolo televisore per una oretta, mise i paletti alla porta e si recò nella sua camera dove trascorse la notte, mentre fuori pioveva a dirotto.
Il mattino arrivò con un fievole raggio di sole, un leggero vento di brezza stava portando via le ultime nuvole e, sul davanzale della finestra, due piccioni tubavano indisturbati. La maestra di piano scese con i suoi tempi dal letto, e dopo essersi lavata e vestita si recò in cucina a prepararsi la colazione. Caterina assente da tre giorni, sarebbe ritornata da Cefalù intorno alle venti e trenta, minuto più, minuto meno, stante che Palazzo Grosso era ad un tiro di schioppo dalla Stazione Centrale.
Stazione Centrale Palermo
Finita la colazione si affacciò sul pianerottolo e chiamò Arcangelo che, uscito dalla guardiola, si precipitò al piano superiore per le commissioni che quasi ogni mattina gli affidava: recarsi in merceria, dal macellaio o dal pescivendolo all’angolo, dal panettiere e qualche volta all’ufficio postale che era proprio a due passi, accanto alla stazione.
- Buongiorno signorina, ha dormito bene?
- Grazie mio buon Arcangelo.
- Di cosa ha di bisogno, così mentre mia moglie finisce di dare lo straccio all’androne, io corro a sbrigare le cose che mi chiedete.
- Vi ringrazio, siete gentile e servizievole come sempre; lunedì mattina manderò Caterina per le commissioni. Affacciatevi fuori e se fratello Rizzo è nel seminterrato, ditegli che appena si libera può salire, così parliamo un po’ sulla seduta di ieri sera.
- Fratello Rizzo non ha aperto la porta di casa sua per ricevere le persone dal momento che fra Giovanni il gobbo è finito sotto il tram. Nella notte avrà fatto le valigie, due grosse valigie, e stamattina proprio mentre aprivo il portone stava per salire su un taxi. Scusate, sono uno sbadato, in guardiola ho le chiavi che mi ha dato, raccomandando di portarvele su e, stringendomi la mano, mi chiese di accettare una banconota da cinquantamila lire.
- Vi disse dove andava e quando sarebbe ritornato?
- No, non glielo chiesi, ma l’impressione che ho avuto è che stava per partire per non tornare mai più… barba fatta, vestito blu con la giacca a doppiopetto, cravatta rossa ed un paio di scarpe nuove marrone con lo scrocchio, mai visto così vestito, veramente elegante che quasi non lo riconoscevo!... Appena risalgo vi porto le chiavi.
Annina trasecolò, si appoggiò allo stipite della porta d’ingresso e chiese ad Arcangelo di accompagnarla alla sua poltrona.
- Usatemi una gentilezza, se vi richiamo dal pianerottolo, bussate da Onofrio Duca e ditegli di salire con sua sorella, se non vi chiamo aspetterò che ritorni Caterina. Su, ora andate a dare il cambio a vostra moglie.
Uscito il portinaio la maestra di piano fece una lunga riflessione su quanto lo stesso le aveva riferito, poi, in barba alla coxartrosi bilaterale, si trascinò nel bagno grande che solo lei usava e fece scorrere la parete mobile che nascondeva i suoi tesori. Delle tre cassette in ebano solo quella contenente documenti e atti notarili era rimasta, le altre due erano sparite, sia quella con gli ori che quella coi contanti. Venerdì mattina Annina aveva preso delle banconote, Caterina era dalla sorella e le cassette erano lì! Richiusa la parete nessun altra persona aveva avuto accesso al bagno; Nella notte nessuno era entrato perché i paletti, due, erano messi, allora il furto è avvenuto durante la seduta spiritica! … quel numero sei, contro ogni regola, e fratello Rizzo che aveva vagato nel buio per casa ed era scomparso nel nulla! Annina si precipitò sul pianerottolo e chiamò Arcangelo il quale, secondo gli ordini ricevuti, chiamò il vigile urbano e sua sorella e li pregò di recarsi a casa di Annina Grosso. Meno di dieci minuti e i due fratelli si accomodarono nel salone. Annina raccontò tutto, fece le sue considerazioni e attese che il vigile le desse dei suggerimenti; la certezza che il ladro fosse il santone non faceva una grinza.
- Scusate signorina, voi dovete denunciare il furto, lo troveranno e lo arresteranno.
Tirò dalla tasca un taccuino ed una matita, poggiò il taccuino sul pianoforte e leccò la mina del lapis.
- Ditemi come si chiamava il santone.
- Lo chiamavamo tutti fratello Rizzo.
- Avrà un nome e un cognome, quando gli avete dato in affitto il seminterrato avete fatto il contratto?
- Avevamo detto di farlo, rimanda oggi, rimanda domani …. e poi sembrava di famiglia, non si è mai perso un venerdì.
- Senza nome e cognome sarà difficile rintracciarlo.
- Tornando stasera Caterina, lei ci dirà nome e cognome, è lui che me l’ha fatta conoscere e me l’ha raccomandata. Quando usciva per le commissioni, tre volte la settimana, di solito si fermava e perdeva una mezzoretta da fratello Rizzo. Aspetteremo che torni stasera alle venti e trenta e ci facciamo dare i dati anagrafici.
I tre si diedero appuntamento alle venti in punto a casa di Annina, si accomodarono ed attesero il ritorno della badante. Alle ventuno in punto, dopo l’attesa snervante Francesca Duca, sorella del vigile domandò:
- Scusate signorina, sapete come si chiama la vostra badante?
- Caterina.
- Scusate, Caterina e come fa di cognome?
Annina non sapeva come si chiamasse la sua badante e capì perché quando usciva a fare le commissioni, tre giorni la settimana, si fermava dal santone e perdeva mezzoretta buona. Lei trentenne, nel pieno della sua bellezza, lui quarantenne, un bell’uomo. Caterina per non destare sospetti si inventò, in combutta col santone, il parto della sorella; il santone che viveva di espedienti molto remunerativi tirò fuori, durante la seduta, la sua conoscenza del significato dei numeri, approfittò delle debolezze e della credulità di tutti e si impossesso del tesoro di Palazzo Grosso, godendoselo con sua moglie, la badante, in un paese del centroamerica con due nuove identità.
Se vi è piaciuta o meno lasciate un commento, se vi và!
Grazie!!!
Un mondo di creduloni e di furbastri. Ottimo narrato con una bella morale.
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