lunedì 8 ottobre 2012

C'ERA UNA VOLTA IL FUTURO... DIMENTICARE PER RICOMINCIARE... POESIA!!!












     “C’era una volta il futuro”, una frase pronunciata da un fraterno amico, riuscì una sera a mettermi in crisi.
     Quando hai superato anche da poco la mezza età, pensi sempre meno ad un futuro di progetti e sempre più ad un passato di ricordi, è un crogiolarsi in reminiscenze, spesso gaie che non ti fanno sentire i primi acciacchi, i primi scricchioli alle ginocchia. Che si sia perso il concetto di futuro?  Che non esista più la parola progetto? Ci accingiamo o, forse, stiamo sotterrando la “cultura” dei diritti dell’uomo? Abbiamo perduto tutti gli imput, compresi quelli del cuore, nessuno più li trova, non esiste più il futuro?
      Che l’Apocalisse è vicina, pronta a mettere la parola fine sul passato per poi… ricominciare?... Si, ricominciare!





IL MARE

Perchè mi chiedi sempre dove vado,
se io non faccio più di venti metri,
ritrovo ogni mattina dietro l'angolo
il panorama che mi mostra il mare.
Non riesco tutti giorni a fare a meno
e mi soffermo a lungo a rimirarlo,
è il luogo più bello che conosco.
Con mio padre, appena ragazzino,
volli bagnarmi i piedi sulla riva
e percorsi incuriosito l'arenile.
Sulla battigia le onde malandrine
cancellavano le nostre orme,
mi fu detto che il mare burlone
si divertiva e ci facea dispetti.
Si, sarà forse la tua gelosia,
da sempre sono innamorato,
è la passione che mi ha stregato
ed ogni giorno lo voglio vedere,
mi ricorda mio padre e me piccino,
lo amo perché mi fa sognare.






UNA SERA AL “MASSIMO”[1]

Come un’ombra mi passasti davanti
senza degnarmi di sguardo alcuno,
non ebbi neppure nemmeno il tempo
di alzarmi in piedi e tu, come ombra,
ti dileguasti tra i vicoli intricati della Kalsa.[2]
Da quel terribile momento non ti vidi più,
non ti cercai neppure, anche se sempre
quegli occhi di colore azzurro mare,
 furono per tanto il mio tormento.
Ti rividi due lustri dopo, un tuffo al cuore,
mi mancò il respiro come al primo incontro,
 quando scansammo la pioggia in un portone
e tu, avvicinasti le tue labbra alle mie.
Scendevi da una macchina di lusso,
sotto un cappello con la falda larga,
mentre qualcuno apriva lo sportello,
elegantissima in un vestito rosso.
Mi vedesti, cogliesti tutto il mio stupore,
imbarazzata, stringesti la borsetta,
poi  lesta t’incamminasti, come me,
verso la scalinata grande del teatro.
Vedemmo la stessa opera, La Traviata,
io su un palco di proscenio,
tu giù in poltrona, una seconda fila.
Nell’intervallo, prendendo un caffè,
con una tazza tremolante in mano,
rividi nuovamente gli occhi tuoi,
e tu, con grande indifferenza,
girasti lo sguardo verso una colonna…
 Violetta tu ed io l’Alfredo?...
No, che si frantumi il sogno!
Ritornai al mio palco di proscenio
e mi ritrovai la tazzina in mano.
Uscito sulla piazza antistante
ricordai  che quel fastoso slargo,
pieno di statue di grande fattura,
illuminato da mille lampioni,
era il confine tra la Palermo ricca
e quella della gente meno abbiente,
dov’io ero cresciuto e sono nato;
al di la, oltre la grande strada,
tra i palazzi ornati blasone,
incauto me, era venuta al mondo!


[1] Massimo – Teatro Massimo, tempio della lirica, uno tra i più importanti al mondo.
[2] Kalsa – Quartiere popolare del centro storico di Palermo.




APOCALISSE

L'oblio della mente ha prevalso
seminando dintorno paure e miserie.
Labirinti intricati senza uscita
hanno segnato incerti cammini,
mari in burrasca e uragani
hanno posseduto il natante
che ha perso la vela e il timone,
e l'ago di una bussola impazzita
ha girato vorticosamente
senza indicare una meta.
Un fioco raggio di sole
ha dissolto le tenebre,
patemi, ansie e tormenti
sono ora affidati al passato.
Ritorna fiducia e antico coraggio,
e la speranza ti fa compagnia;
la ragione, esperta nocchiera,
ha ripreso la rotta.
Dal cielo uno squillo di tromba
annuncia il novello cammino.




SPIRANZA

Mi lu dissi stanotti la luna
mentri scansava ddu negghi,
e l'omu ca sta matina
a gran vuci priricava l'uguaglianza.
Mi lu dissiru l'aceddi cu lu cantu
ca lu beni cchiù granni e cchiù vuluto
è la sacra libirtà.
Ma chi sunno libirtà e uguaglianza
si manca lu sali di la terra?
L'acqua chi scurri 'nta li ciumi,
chi duna vita all'arbuli assitati
senza addumannari ricumpenza
e a ogni puvureddu dà friscura,
spera di putiri far capiri
ca nicessita la fratillanza, l'amuri.



Spero di avervi dato una piccola emozione e suggerito un argomento di riflessione.

Buona lettura.
 



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