mercoledì 12 giugno 2013

LA NATIVITA’ DI CARAVAGGIO… Ma la mafia non lo sapeva...





LA NATIVITA’ DI CARAVAGGIO… Ma la mafia non lo sapeva...






La natività





Dieci, venti, trenta milioni di Euro… Siffatte Opere non hanno né prezzo né mercato!
     Nefandezze? La storia della mafia siciliana continua ad esserne piena!  Era il 19 ottobre del  1969, attiguo alla bellissima basilica di San Francesco, l’Oratorio di San Lorenzo custodiva la più bella opera di Caravaggio, la Natività. La stessa è stata trafugata e fatta a pezzi, nella speranza forse di poterli vendere separati. Palermo è stata mutilata, i palermitani si sentono traslati a ritroso nel tempo, ricacciati indietro di secoli. In città regnano tristezza, rabbia e sgomento, la barbarie di sempre la fa da padrona, trascinando la città fino all’angoscia. La città ha quasi messo in second’ordine tutte le terribili testimonianze dalla deturpazione urbanistica, ai frequentissimi omicidi, le stragi, i sequestri di persona, i rapimenti, le imposizioni di “pizzo”, e persino quella che l’ha resa invivibile, il “sacco di Palermo” operato dai politici corrotti e collusi col malaffare.
 
                                                     Oratorio di San Lorenzo
  

                                                   Martirio di San Lorenzo (Serpotta)
 
                                             Frontone del Teatro Massimo



                                         Basilica di San Francesco d'Assisi
 
     Bisogna arrivare al 1996, il pentito di mafia Marino Mannoia narra sulla preziosa tela poi fatta a pezzi. Lo fa con indifferenza, senza un filo di emozione, come parlasse non di quel capolavoro d’arte ma come se parlasse di una cassetta di frutta presa a calci perché ormai marcescente. Si disse al tempo che il pentito era istruito, parlava bene, allora i palermitani ebbero, e forse non ce n’era di bisogno, lo spaccato della sensibilità della mafia, di che pasta fossero fatti , della cultura che li faceva agire. 
 

                                                  La Vucciria 

     Palermo, dove il sole di luglio ti fa bruciare la pelle e lo scirocco ti screpola le labbra, dove l’Oriente e l’Occidente non hanno una linea di demarcazione, dove i quartieri più vecchi assomigliano alle medine e dove i mercati non son altro che pezzi di bazar in cui la gente tratta come al mercato delle spezie di Istambul; Palermo che alza gli occhi per leggere sul frontone del Teatro Massimo una frase che campeggia : “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita…” e scopre che in quella frase tende a zero la verità per lasciar posto alla retorica. Palermo attonita, sanguinante, mesta ed ammutolita dalla barbarie, una città che non sorride più, dove il silenzio regna indisturbato, dove le finestre sono occhi chiusi, le strade lapidi marmoree, dove non ci son più fiori nelle aiuole ma spine, dove le fontane piangono lacrime amare e sembrano tante madri addolorate, dove i bimbi si attaccano a seni scarni, dove impera la stizza nel ricordo di quel giardino di poesia che era sempre stata. Quel sacrilegio ridusse il palermitano ad un Cristo in eterna passione che si trascina dietro la propria Croce, l’eterna follia dei propri orgogli feriti.
     Caravaggio, che ha saputo dare alle sue tele una luce diversa, penetrante, violenta, folgorante, magica, scompariva da San Lorenzo, la città era rimasta orfana, non c’era più il “pittore maledetto”.
     Recita un vecchio adagio siciliano: “Doppu ca a Santa Fara l’arrubbaru, cci ficiru i grari!” (Dopo che hanno rubato nella cappella di Santa Fara, allora si è provveduto a collocarvi le grate in ferro). Scaricabarile di colpe, ma l’accesso all’Oratorio era semplicissimo, i ladri indisturbati rubarono il capolavoro che non aveva alcuna protezione.  Il parroco del tempo, don Benedetto Rocco, a torto, fu sospettato di complicità. La notizia fece subito il giro del mondo. Un giornalista inglese Peter Waston in un suo libro, “The Caravaggio conspiracy” ricostruì, con un eccessivo tasso di fantasia un itineraio della Natività e sostenne che la tela andò distrutta durante il terremoto che interessò la cittadina di Tarquinia. Si indagò tanto attorno al furto del Caravaggio e non si escluse la mafia, perché alcuni riscontri erano risultati attendibili. La Natività non varcò mai il perimetro della città, per 27 anni, in pezzi rimase in città, sfiorata da mani che grondavano sangue e dalle stesse mani deturpata, tagliata a pezzi.  La testimonianza del pentito confermò la tesi degli inquirenti.
     Scellerati uomini di malaffare, bestie sanguinarie, resistenze passive dell’evoluzione di una società, si sono trovati tra le mani l’opera che  tra la 230 mila sparite e mai recuperate tra gli anni ’60 e gli anni ’90 , veniva considerata quella più pregiata.  Allora ci si chiede se uomini di siffatta specie meritino pietà e perdono.
Non li odio, li disprezzo, mi perdoni Iddio, non posso perdonarli!






 Amore vincitore





Davide con la testa di Golia







Ragazzo morso da un ramarro







La testa della Medusa







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