LA NATIVITA’
DI CARAVAGGIO… Ma la mafia non lo sapeva...
La natività
Dieci, venti, trenta milioni di Euro… Siffatte Opere non
hanno né prezzo né mercato!
Nefandezze? La
storia della mafia siciliana continua ad esserne piena! Era il 19 ottobre del 1969, attiguo alla bellissima basilica di San
Francesco, l’Oratorio di San Lorenzo custodiva la più bella opera di
Caravaggio, la Natività. La stessa è stata trafugata e fatta a pezzi, nella
speranza forse di poterli vendere separati. Palermo è stata mutilata, i palermitani
si sentono traslati a ritroso nel tempo, ricacciati indietro di secoli. In
città regnano tristezza, rabbia e sgomento, la barbarie di sempre la fa da
padrona, trascinando la città fino all’angoscia. La città ha quasi messo in
second’ordine tutte le terribili testimonianze dalla deturpazione urbanistica,
ai frequentissimi omicidi, le stragi, i sequestri di persona, i rapimenti, le
imposizioni di “pizzo”, e persino quella che l’ha resa invivibile, il “sacco di
Palermo” operato dai politici corrotti e collusi col malaffare.
Martirio di San Lorenzo (Serpotta)
Bisogna arrivare
al 1996, il pentito di mafia Marino Mannoia narra sulla preziosa tela poi fatta
a pezzi. Lo fa con indifferenza, senza un filo di emozione, come parlasse non
di quel capolavoro d’arte ma come se parlasse di una cassetta di frutta presa a
calci perché ormai marcescente. Si disse al tempo che il pentito era istruito,
parlava bene, allora i palermitani ebbero, e forse non ce n’era di bisogno, lo
spaccato della sensibilità della mafia, di che pasta fossero fatti , della
cultura che li faceva agire.
Palermo, dove il
sole di luglio ti fa bruciare la pelle e lo scirocco ti screpola le labbra,
dove l’Oriente e l’Occidente non hanno una linea di demarcazione, dove i
quartieri più vecchi assomigliano alle medine e dove i mercati non son altro
che pezzi di bazar in cui la gente tratta come al mercato delle spezie di
Istambul; Palermo che alza gli occhi per leggere sul frontone del Teatro
Massimo una frase che campeggia : “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la
vita…” e scopre che in quella frase tende a zero la verità per lasciar posto
alla retorica. Palermo attonita, sanguinante, mesta ed ammutolita dalla
barbarie, una città che non sorride più, dove il silenzio regna indisturbato,
dove le finestre sono occhi chiusi, le strade lapidi marmoree, dove non ci son
più fiori nelle aiuole ma spine, dove le fontane piangono lacrime amare e
sembrano tante madri addolorate, dove i bimbi si attaccano a seni scarni, dove
impera la stizza nel ricordo di quel giardino di poesia che era sempre stata.
Quel sacrilegio ridusse il palermitano ad un Cristo in eterna passione che si
trascina dietro la propria Croce, l’eterna follia dei propri orgogli feriti.
Caravaggio, che ha
saputo dare alle sue tele una luce diversa, penetrante, violenta, folgorante,
magica, scompariva da San Lorenzo, la città era rimasta orfana, non c’era più
il “pittore maledetto”.
Recita un vecchio
adagio siciliano: “Doppu ca a Santa Fara l’arrubbaru, cci ficiru i grari!”
(Dopo che hanno rubato nella cappella di Santa Fara, allora si è provveduto a
collocarvi le grate in ferro). Scaricabarile di colpe, ma l’accesso all’Oratorio
era semplicissimo, i ladri indisturbati rubarono il capolavoro che non aveva
alcuna protezione. Il parroco del tempo,
don Benedetto Rocco, a torto, fu sospettato di complicità. La notizia fece
subito il giro del mondo. Un giornalista inglese Peter Waston in un suo libro,
“The Caravaggio conspiracy” ricostruì, con un eccessivo tasso di fantasia un
itineraio della Natività e sostenne che la tela andò distrutta durante il
terremoto che interessò la cittadina di Tarquinia. Si indagò tanto attorno al
furto del Caravaggio e non si escluse la mafia, perché alcuni riscontri erano
risultati attendibili. La Natività non varcò mai il perimetro della città, per
27 anni, in pezzi rimase in città, sfiorata da mani che grondavano sangue e
dalle stesse mani deturpata, tagliata a pezzi.
La testimonianza del pentito confermò la tesi degli inquirenti.
Scellerati uomini
di malaffare, bestie sanguinarie, resistenze passive dell’evoluzione di una
società, si sono trovati tra le mani l’opera che tra la 230 mila sparite e mai recuperate tra
gli anni ’60 e gli anni ’90 , veniva considerata quella più pregiata. Allora ci si chiede se uomini di siffatta
specie meritino pietà e perdono.
Non li odio, li disprezzo, mi perdoni Iddio, non posso
perdonarli!
Amore vincitore
Davide con la testa di Golia
Ragazzo morso da un ramarro
La testa della Medusa
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