I
Racconti del Borgo
Mario Scamardo
Dall’Alfa
all’Omega
IL SAGGIO DELLA
MONTAGNA
Un’erta difficile è quella che porta
al Piano delle Giumente, così è chiamato il tratto di pianura a quota seicento
metri a ridosso della Pizzuta, montagna che si affaccia alla Kumeta, altro
picco di pari altezza, che al tramonto ricopre col suo mantello d’ombra
l’abitato di Piana degli Albanesi.
In fondo al pianoro, un sentiero
tortuoso tra sterpi, rovi ed agavi enormi disseminate qua e là, che conduce ad
un anfratto di difficile accesso, dentro l’anfratto ancora un anfratto ed una
serie di grotte sempre più buie, percorribili con difficoltà, che sembra
attraversino tutta la montagna per affacciarsi poi dalla parte opposta.
La roccia è calcarea con evidente
colorazione rossastra, dovuta alla ferrettizzazione; la grotta presenta, al suo
interno, particolari spaccature, e la presenza di formazioni molto antiche del
tipo stalagmitico han fatto si che il posto divenisse meta continua di
speleologi e studiosi di ogni sorta che hanno percorso tutti i cunicoli che
collegano la serie di grotte, rilevando notizie sull’aspetto litologico e
l’azione dell’acqua nei tempi, la flora e la fauna, e quanto può riuscire utile
per la conoscenza del sito.
Piano delle Giumente è un posto da
capre, bisogna talvolta arrampicarsi per lunghi tratti, e i caprai o i pecorai
conoscono bene il luogo, stante che all’ingresso dell’anfratto è stata
ricavata, nella pietra friabile, una piccola depressione atta a raccogliere
quel filo d’acqua che fuoriesce dalla spaccatura di una roccia, consentendo
l’abbeverata ad animali e pastori, che di quell’acqua apprezzano purezza e
freschezza.
In ogni parte del mondo, attorno alle
grotte, la fantasia degli uomini ha costruito miti e leggende, ha immaginato
incantesimi e tesori, ma soprattutto si è sbizzarrita a porre, a guardia di
scrigni e di fantastiche casse colme di ori, belve feroci, draghi, magici
guerrieri, streghe, gnomi, folletti, fauni, semidei e quanto di più può dare
suggestione o incuriosire.
Il retaggio della mitologia greca prima
e di quella romana poi è evidente, ma guai a non lasciare alla mente
l’opportunità di divagare in un mondo fantastico, dove ognuno può calarsi e
divenire eroe e mago. La fantasia ha la forza di realizzare ogni sogno, anche
se tutto poi sfuma con le nebbie del primo mattino. Caverne e grotte hanno
giocato un ruolo simbolico di primo piano nei miti della tradizione, e ancor
oggi non hanno perso questo ruolo. La grotta, la caverna, l’anfratto, hanno
fissato nell’uomo la dualità tra il buio dell’interno e la luce al suo esterno,
quindi la dualità tra giorno e notte. La notte è fredda, oscura, cattiva. Costringe al riparo e al sonno
indifeso, preludio della morte alla quale assomiglia. La notte è paura, abisso
insondabile, orrore agghiacciante, scommessa fatale sull’incerto ritorno del
sole. il giorno è caldo, luminoso, buono.
Consente di trovare i frutti della terra e ogni genere di sopravvivenza,
consente di vedere e aggirare gli ostacoli e di fuggire i pericoli.
Gli anfratti della Pizzuta non si sono
sottratti al mondo della fantasia e, spesso, la voglia di entrare in possesso
dei tesori della grotta metteva in moto escursionisti che nulla avevano in
comune con gli amanti della natura, con gli studiosi della flora e della fauna
o con l’interesse scientifico dei geologi. Lo spirito d’avventura e una certa
voglia di ricchezza a basso costo superavano ogni ragione e si scalava la
montagna preparati ad affrontare i draghi, i guerrieri immortali, le streghe o
i folletti, e a scavare buche profonde o abbattere pareti di pietra con
attrezzi degni di un cantiere edile.
Era un mattino sereno, l’aria era
cristallina e una brezza leggera aveva spazzato ogni fumo di nuvola dal pianoro
della Pizzuta. Attraverso la gola che la Kumeta forma con le alture di Guadalami
e Maganoce, si intravedono le colline del saccense e si può riuscire a scorgere
il convento di San Calogero sul monte Kronion. Quattro giovani aitanti, sui
vent’anni, e una ragazza, giunti che furono sul pianoro, armati di pale,
picconi e un paio di lunghe corde, si distesero sull’erba fresca per riaversi
dalla fatica, e cominciarono ad esporre il piano per esplorare le grotte alla
ricerca del tesoro o, in mancanza, qualche reperto in grado di soddisfare la
loro voglia di realizzare denaro e contemporaneamente di appagare qualche
curiosità.
Mentre i cinque ragazzi riflettevano
come affrontare la grotta, il sole, che si spostava verso lo zenith, accorciava
pian piano le ombre e le animava, tanto da non fare accorgere agli stessi che
una di quelle ombre si stava materializzando proprio davanti alla grotta. I
cinque ragazzi si ritrovarono davanti un austero vecchio dalla barba canuta,
che fluiva fino alla cintura, e i lunghi capelli color latte gli scendevano sul
collo. La sua tunica era raccolta alla vita da un giunco. Per un attimo
ammutolirono e indietreggiarono, per un senso di timore e insieme di rispetto
per il vecchi canuto e per il grosso libro che teneva in mano. La copertina
rigida colore rosso scarlatto e le lettere impresse su di essa in oro, una
grande alfa e una grande omega.
Regnò il silenzio, che fu rotto solo
dal vecchio: emanava saggezza e insieme semplicità, dignità, cultura profonda,
ed era senza tempo. A guardarlo, sembrava che questo parametro appartenesse ad
altra realtà, ad altra dimensione, e così parlò: - Sono Akronos, sono nato e non sono cessato, questa grotta l’ho voluta
quando il calcare che forma questa montagna era magma incandescente. Prima che
si raffreddasse invitai Sirocco a rendermi un servigio, a soffiare più forte e ad
attraversare la massa fluida, lasciando che l’incavo la percorresse tutta, per
permettermi di guardare, in un sol colpo, le due vallate.
La ragazza, colpita dall’austerità del
vecchio, gli chiese: - Come potete fare a
meno del tempo? Chi prima di voi e chi dopo di voi? Il prima e il dopo
prevedono che qualcuno si rapporti col tempo…
Il vecchio accarezzò la sua fluente
barba e rispose: - Io sono detentore del
libro delle verità, scritto e aggiornato a mano. Mi è stato affidato da un
altro saggio che con me spartì quest’anfratto e poi sparì per compiere altre
missioni. Ho voluto che fosse così, nel rispetto del libero arbitrio, che Chi
sta al di sopra di tutte le cose regalò all’uomo, ed io consegnerò, a mia
volta, questo libro ancora ad un saggio, ed andrò via a compiere altre
missioni.
I ragazzi, quasi in coro, chiesero: - Quanto tempo passerà prima che ciò avvenga?
Il saggio sorrise, capì che i giovani
non erano stati educati a recepire il suo messaggio, difatti si trovavano sulla
montagna con altre intenzioni. Allora aprì il libro e sulla prima pagina lesse:
- Aiutare i bisognosi, promuovere l’amore
per il prossimo è un’opera che trascende il tempo!
I giovani non diedero gran peso a
quanto il vecchio aveva letto e, presi da altro interesse, gli chiesero quali e
quanti tesori erano stati sepolti nelle grotte…
Il vecchio li invitò a sedere, poi si
lisciò i baffi e la fluente barba e disse: - Queste grotte non nascondono tesori, le pareti sono segnati da simboli,
ma i simboli non sono necessariamente memorie, a volte sono sogni. I veri
tesori sono racchiusi in questo libro che tengo tra le mani, esso è un
compendio di verità e profezie. Esso tratta
dell’uomo, specialmente in rapporto con la scelta e il criterio di giudizio nei
confronti dei due concetti di bene e male. Sfogliò e lesse: - La giustizia è virtù rappresentata dalla
volontà di riconoscere il diritto di ognuno, mediante l’attribuzione di quanto
è dovuto, secondo la ragione e la legge. La libertà, stato di autonomia,
essenzialmente sentito come diritto e come tale garantito da una precisa
volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico. L’uguaglianza fa sì
che l’uomo sia considerato alla stessa stregua degli altri membri della
collettività relativamente a determinati diritti o valori, prescindendo dalla
razza, dal colore della pelle e dal credo religioso. La fratellanza, vincolo
spirituale che esiste tra fratelli naturali o tra componenti di una società
costituita per fini umanitari, che non è di mutuo soccorso, ma sentita in
quanto legata da quella malta che è l’amore. La tolleranza, che consente agli
uomini di buona volontà, pur non condividendo idee e pensieri, di rispettare
chi questi pensieri e queste idee coltiva. Il vecchio saggio si fermò.
Il sole era allo zenith, non c’erano
più le ombre e i ragazzi, ricaricata sulle spalle l’attrezzatura, intrapresero
la discesa dal monte carichi dei tesori che il vecchio aveva dato loro con i
suoi insegnamenti.
Al mattino, quando le temperature
cominciavano a elevarsi, e all’imbrunire, quando tornavano a calare si sentiva
la brezza o il vento attraversare la grotta e provocare un sibilo, tanto più
forte quanto più lo era la velocità delle masse d’aria. Questo rumore, del
tutto naturale, aveva solleticato le fantasie che sostenevano la presenza di un
gigantesco guerriero in elmo, corazza e spada, che se ne stava sdraiato entro
una grotta e una volta al mattino e un’altra nel pomeriggio si destava dal
sonno e sbadigliava emettendo quei sibili.
Era giorno di festa, di quelli che si
trascorrono attorno alla tavola con tutta la famiglia, le campane suonavano a
distesa e per le vie del paese la banda musicale. All’anfratto arrivarono i
suoni, i vocii e lo scampanio festoso, nessuno poteva immaginare che attorno a
mezzodì qualcuno si presentasse davanti alla grotta carico di mestizia e con in
mano un paio di sacchetti. Era un uomo sui trent’anni, ben messo nella persona,
ma dagli occhi e dalla espressione trasudava tanta amarezza, tanta
disperazione. L’uomo, in maniera timorosa, sbirciò dentro la grotta, cautamente
ne varcò la soglia, guardò attorno e cercò l’angolo dove distendersi a passare
la notte. Raccolse un po’ di frasche e le sistemò a giaciglio, poi si sedette
sull’uscio, proprio accanto a una lieve depressione che raccoglieva l’acqua
della sorgente.
L’uomo non fuggiva da nulla, non aveva
commesso nulla per cui dovesse nascondersi, ma certamente qualcosa l’aveva
spinto a scegliere quella scomoda dimora.
Akronos, il vecchio saggio, stette a
guardarlo e notò sul suo volto tanta disperazione e tanto smarrimento. Con la
testa tra le mani l’uomo si mise a singhiozzare e lacrime copiose rigarono il
suo volto. Akronos gli diede il tempo di sfogare, aveva tanta rabbia in corpo e
tanta nebbia nel cervello, poi si materializzò assumendo l’aspetto di un
cacciatore e per non farlo spaventare mosse alcuni cespugli e tossì, gli passò
davanti, lo salutò facendo finta di niente e si allontanò tra le agavi; poi, si
materializzò dietro un roveto e comparve nella sua tunica bianca cintata con un
giunco, con la sua barba fluente, i capelli color latte e in mano il grosso
libro rosso scarlatto con l’alfa e l’omega impressi in oro.
Quando l’uomo lo vide, ebbe timore e
indietreggiò sbarrando gli occhi, ma il saggio lo rincuorò dicendo: - Figliolo, non temere, io sono il solo ad abitare
questa grotta, ma tu sei il benvenuto; nel tempo l’ho divisa con un vecchio,
ora la dividerò con te, non avrai paura del buio, non temerai la notte con le
sue insidie, io veglierò su di te, sulla tua incolumità, e domattina, quando
Morfeo ti consegnerà al novello giorno, rivedrai il sole già alto.
L’uomo si sentì rincuorato, si sedette
accanto alla sorgente e inerrogò Akronos: - In
paese si è sempre sentito parlare di voi, della grotta, della persona e dei
mostri che la abitano, ma io pensavo alla fantasia degli uomini e credevo di
non trovarvi anima viva, anche se in cuor mio speravo che qualcosa di
fantastico accadesse. Ma voi da quanto tempo siete qua? Dalla vostra lunga
barba e dai capelli come neve, scusate, semrate molto vecchio… Quanti anni avete?
Il saggio sapeva quale era il motivo
che aveva spinto l’uomo verso la grotta, ma dalla sua domanda ebbe contezza
della sua capacità d’ascolto e di accettare le ragioni dell’esistenza; per ciò
aggirò la domanda e fu vago dicendo: - Ho
visto molte lune piene, molti inverni e molti fiori diventare frutti e poi
ancora semi; ho visto l’uomo perpetuarsi e lottare sia per il futile che per i
grandi valori. Anche tu stai lottando, nei tuoi occhi e nel tuo viso leggo i
segni della sofferenza… Perché hai scelto questo luogo per sfogare la tua
rabbia?
L’uomo lo ascoltò attentamente, poi
cominciò a raccontare: - Sono sposato da
cinque anni, da tre sono padre di un bambino, con mia moglie viviamo a casa dei
suoi genitori, dove dimorano il fratello e la sorella di lei. Il lavoro
scarseggia, ed io sono prigioniero dell’alcool, bevo più di quanto guadagno e
non riesco a venirne fuori, non posso farne a meno, so che mia moglie soffre di
questo mio stato e so che tutto questo non giova al bambino, ma è più forte di
me e le liti sono diventate quotidiane, e invece di coinvolgermi a smettere, mi
spingono sempre più dentro le osterie e i bar e mi fanno perdere la ragione.
Oggi è stata l’ultima lite in famiglia, li ho avuti tutti contro, mentre il
bambino con gli occhietti smarriti se ne stava muto e impaurito. Sono scappato
via imprecando e non voglio più tornare a casa.
Il vecchio lo lasciò parlare, poi gli
mostrò il grande libro dalla copertina scarlatta e disse: - Figliolo, guarda questo libro: contiene
tutte le verità, e vi sono scritte tutte le profezie del mondo. Io ho il
compito di leggerti alcuni passi, tu a tua volta hai il compito di ascoltarli.
Se le parole scritte sapranno staccarsi dalle pagine e imprimersi nel tuo
cuore, quando ti sveglierai, ripercorrerai l’erta a ritroso e troverai tua
moglie sull’uscio ad aspettarti col bimbo sulle braccia. Altrimenti, se le
parole non ti arriveranno, perché la tua mente è nel
caos e la tua anima è dibattuta tra ciò che è bene e ciò che è male, questa
montagna sarà la tua casa. Io posso guardare due valli e posso condurti
nell’una o nell’altra. Sta a te la scelta: ridiscendere passo passo il crinale
della valle del bene o scivolare nella valle del male. Seguimi e vedrai…
Andarono per un sentiero tortuoso, attraversarono
grotte successive sempre più buie ma il candore della tunica, della barba e dei
capelli del saggio seguivano il cammino, fino a quando non raggiunsero la
grotta centrale che comunicava con l’esterno attraverso una feritoia nel tetto,
da dove entrava la luce e di potevano vedere il sole e la luna transitare.
Nell’antro di centro Akronos si fermò,
fece notare un blocco di arenaria rossa dove era infissa una grande spada di
acciaio con l’elsa cesellata e un grosso rubino in cima.
Guarda questa spada infissa nella pietra, disse il vecchio, questa è la linea di demarcazione tra il bene e il male, ora ti terrò
per mano e ci affacceremo sul baratro del male, ma non aver paura, torneremo
indietro sui nostri passi e solo allora ti leggerò quanto ti avevo promesso.
Akronos si avviò tendendo la mano.
Non c’erano strade che conducessero
all’imbocco, solo una parete rocciosa a perpendicolo con l’orizzonte, uno
strapiombo su una valle dove non si intravedeva un filo di verde,un groviglio
di aridi sterpi, e giù scarne giovenche che brucavano spine, e serpi ovunque
intrecciati e fitte ragnatele tra alberi fossilizzati. Akronos sostò un
istante, poi batté una mano sulla spalla dell’uomo e lo invitò a muovesi sulla
via del ritorno.
Giunti che furono davanti al pianoro
dove zampillava la piccola sorgente, i due si sedettero. Il vecchio riprese in
mano il suo libro, lo ap’erse e cominciò a leggere: Onora Dio, non fare mai male, fai del bene. Ama i buoni, aiuta i
deboli, fuggi i malvagi ma non odiare nessuno. Parla sobriamente con i grandi, prudentemente
con i tuoi pari, sinceramente con gli amici, dolcemente con i piccoli,
teneramente con i poveri. Ascolta sempre la voce della coscienza. Assisti il
viandante straniero; la sua persona è sacra per te. Rispetta le donne. Non
abusare mai della loro debolezza e muori piuttosto che disonorarle. Se Iddio ti
da un figlio, sii grato, ma trema per l’impegno che ti affida. Sii per il
bambino l’immagine della divinità. Fa’ che fino a dieci anni egli ti tema, che
fino a venti ti ami, che fino alla morte ti rispetti. Fino a diedi anni sii il
suo maestro, fino a venti suo padre e fino alla morte suo amico.
L’uomo ascoltava senza perdere una
battuta, ed il vecchio scandiva le parole. Come un esperto maestro di dizione
fece un attimo di pausa, poi riattaccò la sua austera lettura: - Preoccupati di dargli dei buoni principi,
rendilo uomo onesto più che uomo abile. Poi si fermò ancora, come se
volesse tirare un sospiro, alzò gli occhi al cielo e proprio in quell’istante
uno stormo di anatre con la loro tipica formazione a V si dirigeva verso il lago di Piana degli Albanesi, forse quello
era il segno che Akronos aspettava, quindi riprese: - Ascolta e trai profitto,guarda e imita, rifletti e lavora. Rapporta
tutto alla utilità dei tuoi fratelli. Sarà come lavorare per te stesso.
Rallegrati della giustizia, adirati contro l’iniquità, soffri senza
compiangerti. Il vecchio chiuse il libro e notò che l’uomo copiosamente
piangeva, non lo disturbò, si alzò e andò fuori dall’anfratto come a volersi
riposare. Staccò un lembo della tunica, lo bagnò con l’acqua della sorgente, lo
porse all’uomo e disse: - Lavati il viso
e asciuga le tue lacrime. Esse non sono segno di debolezza, quindi, non
vergognarti mai di piangere, solo i forti e i grandi sanno piangere, i deboli
ostentano sempre la sicurezza che non possiedono e sconoscono l’umiltà. Le
apparenze sono solo specchietti per le allodole, sono lustrini ingannevoli che
spesso ti portano dall’altro lato della montagna, dove non c’è sentiero alcuno,
dove esiste solo il baratro. Tu, figlio mio, non giudicare con leggerezza le
azioni degli uomini, non biasimare affatto, e loda ancora meno. Spetta solo a
Dio, che sonda i cuori, apprezzare le loro opere.
Akronos pose sotto il braccio il suo
libro, volse le spalle ed entrò nella grotta, mentre il giovane venne preso da
un pesante sonno.
La luna attraversò tutto il cielo e
quando fu sulla grotta sembrò fermarsi come per incanto, quasi a rendere
omaggio al vecchio saggio senza tempo, poi lentamente raggiunse l’orizzonte e
fece posto al sole.
L’uomo si risvegliò, bevve un sorso
d’acqua, riprese i due sacchetti che aveva portato con sé, si guardò attorno in
cerca di Akronos e lo vide su una roccia che lo salutava; poi si incamminò
ritornando sui suoi passi.
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