Tradizioni popolari
SAN GIUSEPPE JATO
XXI Luglio - Maria SS della Provvidenza
( U Vint’unu )
Mario Scamardo
Con i narrati pseudo storici, i racconti, le storielle, possiamo aprirci un varco verso quel po’ di libertà che si può conseguire nella recita “a soggetto” del sacro canovaccio del destino, e affrontare il pathos dell’esistenza in un “catartico” gioco di arte e poesia.
Il folclore è il termine usato per definire sia l'insieme di credenze e tradizioni di una comunità umana, sia la disciplina che le studia, chiamata storia delle tradizioni popolari o demologia. Il termine deriva dall'inglese folklore (composto di folk, "popolo", e lore, "sapere") . Giuseppe Pitrè, dando avvio agli studi etnografici sul territorio italiano, battezzò la sua disciplina “demopsicologia” (psicologia del popolo).
La tradizione del 21 luglio che onora la Madonna della Provvidenza è piena di principi, di santi, di mistici o pseudo tali, di credenti, di fedeli, di devoti, di apparizioni, di narrazioni orali, di costumi, di luoghi, di miracoli, di storia documentata e di innumerevoli fantasie elevate al rango di storia.
Sventurato è colui che non affonda le radici nella propria storia, esso è un uomo senza futuro!
1779, è da questa data che comincia la nostra storia!
Giuseppe Beccadelli da Bologna e Gravina, Marchese di Sambuca, Grande di Spagna, Cavaliere dell’Insigne Real Ordine di San Gennaro, Gentiluomo di Camera con esercizio dell’Invittissimo Sovrano Ferdinando III, Consigliere di Stato residente nella dominante Palermo e Principe di Camporeale, era stato primo all’asta relativa ai feudi di Dammusi, Signora, Mortilli e Macellaro, appartenuti ai Gesuiti e confiscati, da re Ferdinando, nel 1767 dopo l’espulsione dal Regno delle due Sicilie e se li era accaparrati per 89.000 once. Ogni altro concorrente si ritirò dall’asta perché il principe aveva fatto pesare la sua parentela col Primo Segretario del Regno di Napoli.
Con l’acquisto dei feudi il Beccadelli aveva ottenuto dal Re di Napoli la “licentia populandi”, potendo così edificare centri urbani nuovi. Le terre c’erano, ma mancavano le braccia per poterle mettere a frutto. Il territorio, con esclusione di alcuni casali quali Dammusi, Chiusa, Mortilli, Ginestra, Fellamonica, Gianvicario, Balletto e Picciana, era spopolato. Dal 1246, quando Federico II aveva deportato a Lucera gli ultimi musulmani arroccati a Jato, era solamente sorta tra il 1488 ed il 1525 Piana dei Greci . In contrada Macellaro edificò Camporeale, utilizzando parte del suo titolo, quando decise di edificare il secondo volle che fosse ubicato in contrada Mortilli, ed essendo lo stesso devoto della Madonna, lo dedicò al suo sposo e decise di chiamarlo San Giuseppe li Mortilli.
Per popolare San Giuseppe li Mortilli arrivò pochissima gente dai casali, un po’ arrivarono da Piana dei Greci, da Alcamo, da Corleone, Partinico, Poggioreale, Grotte, Bivona, Agrigento, Santo Stefano. Il grosso arrivò dalle carceri, trasferirsi nel nuovo centro era un’alternativa al carcere, in quanto pieno di disgraziati che non riuscivano a pagare le tasse. In maniera sparuta arrivarono anche “ i figli del maggiorasco”, un’istituzione legata all’eredità in uso presso i casati nobiliari; i primogeniti ereditavano l’intero patrimonio costituito da immobili, agli altri figli che non si richiudevano nei conventi o decidevano di mettere il proprio braccio e la propria spada al servizio di un altro nobile, veniva data una somma ragguardevole di denaro che consentiva loro di acquistare nei feudi dei Beccadelli, unici spezzettabili, degli appezzamenti da mettere a coltura.
Il principe Beccadelli aveva l’aspirazione di volere entrare nella storia come Entello, Aceste, Romolo, fondatori di città e pensò addirittura all’istituzione di una Università da allocare in contrada Mortilli.
Non fu semplice per il principe l’ubicazione del nuovo centro alle falde del Monte San Cosmano, oggi Monte Jato, la zona era ricca di acque ma non regimentate, quindi, soggetta a frane, l’esposizione era a nord e lo stesso monte avrebbe coperto col suo mantello d’ombra, fino a metà mattinata, il sito designato. Tutti avevano contestato il principe, tutti si erano lamentati delle sue indicazioni, e per tutti ebbe una risposta. Essendo il suo maniero in Dammusi (oggi Casale del Principe), ben oltre la difesa naturale che era rappresentata dal fiume Jato, che al tempo era di portata superiore, addirittura era navigabile per certi tratti, ed essendo la gente che si accingeva ad insediarsi poco affidabile, pensò bene che il sito sotto le pendici del San Cosmano fosse l’ideale, in quanto distante e senza strade.
Con un veloce escursus cercheremo di capire cosa avvenne nel tempo a Dammusi, dal 599 al 19.07.1883:
599-“Una lettera del Papa Gregorio Magno documenta l’esistenza di una masseria Jatina: egli, nel tentativo di dirimere un contrasto tra il milite Laurenzio e la Chiesa Panormitana cita la massa (=masseria) Getina.”
Data la fertilità delle terre e la ricchezza di acque nella zona, è possibile che si trattasse, fin da allora, di una struttura legata all’attività agricola della vicina città di Jato, composta da locali scavati nella roccia, tuttora esistenti, adibiti a magazzini
IX-XI sec- “Nel 827, sbarcati gli arabi in Sicilia, Jato divenne un vero e proprio presidio saraceno”
In Sicilia vi è la dominazione araba.
E’ attribuibile alla maestria araba la costruzione del dammuso , un locale con copertura a volta, scavato nella roccia, tuttora esistente nel sito. In ciò che di questo dammuso rimane si possono rintracciare i locali destinati presumibilmente alla sala e all’alcova(collegati, come era usanza) da un grande arco.
E’ proprio la presenza di queste strutture che dà nome a quest’area.
1093-Il conte Ruggero concede Jato al vescovo di Mazzara e Guglielmo I (si legge) “vollene soggetti gli uomini ai monaci cistercensi di S. Niccolò di Gurguro”
In questa affermazione è possibile riscontrare la volontà normanna di assoggettare degli uomini (arabi) lì residenti alla nuova dominazione.
1176-La città di Jato (costituita dai feudi Chiusa, Fegotto, Dammusi e Signora) ed il suo vasto territorio, vengono donati da Guglielmo II all’Arcivescovado di Monreale.
( si legge) “La corrispondenza di Jatina con i feudi sopraddetti è assicurata dalla descrizione dei confini, in arabo e in latino, riportata nella Donazione di Guglielmo II all'Arcivescovado di Monreale del 1182: il fiume che aveva origine dalle sorgenti della Cannavera (Ayn al-kabira, magnus fons) costituiva il confine orientale mentre il fiume Jato (flumen quod descendit a Jatina) costituiva il confine meridionale; a nord il confine partiva dall'attuale contrada Marzuso (al-Marsuss) sino alla trazzera della Cannavera (via quae ducit ad Panormum) corrispondente ad un braccio dell'antica Via Mazariae.”
1182-Il territorio di Jato è una MAGNA DIVISA costituita da circa 40 Divise e 50 casali sparsi nel territorio. Uno di questi casali potrebbe verosimilmente essere in Dammusi.
(si legge) “Quasi certamente il principale centro di aggregazione dell'intero territorio era costituito dall'attuale casale di Dammusi il cui toponimo è documentato almeno dall'anno 1183 'ayn ad-damùs (sorgente di Dammusi) in un riferimento al casale di cui viene riportato il numero dei villani (servi della gleba) fatto sotto Guglielmo II… Il toponimo Dammusi è marcatamente di origine araba. Dammus, in arabo, è la volta - naturale o artificiale - che ricopre le abitazioni. Il termine ha lasciato le sue reminiscenze anche nel dialetto siciliano: il dammuso, nell’accezione comune è, ancora oggi, la volta che ricopre gli ambienti di una abitazione. Il collegamento tra il toponimo e l’attuale Dammusi è da mettere in relazione con alcuni ambienti degli edifici: a sinistra dell’ingresso principale del baglio si rileva la presenza di alcuni ambienti scavati nella roccia viva ricoperti appunto da un dammuso anch’esso in roccia. In funzione della presenza del dammuso gli arabi denominarono la vicina sorgente ayn ad-dammus ossia sorgente del dammuso.”
1189-1246-Il territorio della Val di Mazzara è sconvolto dalle battaglie contro gli Svevi, prima di Enrico VI e poi di Federico II, sostenute dagli ultimi musulmani di Sicilia.
1246 -Jato, roccaforte dei musulmani ribelli dal 1243, viene distrutta da Federico II.
1258-“In una concessione del 1258 l’Arcivescovo di Monreale Benvenuto concede a Omodeo Latineri, Tommaso d’Armenia e ai loro consoci il casale di Jatina. Analizzando il contenuto della concessione si rileva, innanzitutto, che si tratta di un tipo di concessione diversa dalle altre dello stesso periodo: non vengono riportate solamente le condizioni economiche ma viene anche sottolineata una serie di clausole proprie di un contratto tra un signore (l’Arcivescovo) e una comunità straniera.”
Per questo motivo è ipotizzabile che fosse stata una comunità di Armeni (guidata da Tommaso d’Armenia) a chiedere i locali della masseria Dammusi per sé. Si può a questa comunità attribuire un primo ampliamento dell’attuale masseria (verso sud).
1350-1500-Torre d’avvistamento. Non si può attribuire a questa torre una data precisa per mancanza di fonti.
1593-“Nel 1593 il feudo Dammusi con baglio, torre, magazzini e case apparteneva a Lanzo Galletti…Proprietario risultava un certo Lanzo Galletti di Piana degli Albanesi la cui famiglia, per altri versi, sappiamo essere originaria della città di Pisa.”
1596- Della situazione patrimoniale dell’arcivescovato di Monreale, G. L. Lello, dà una minuta descrizione nella sua Historia della Chiesa di Monreale in cui afferma che la Magna Divisa viene identificata in feudi.
1702- Dal testo dell’Abbate Michele Del Giudice si apprende che la Chiesa possedeva 72 feudi. Dal punto di vista giurisdizionale la Chiesa di Monreale raggruppava i suoi feudi in 6 camperie. Le sei camperie avevano sede a Monreale, Piana dei Greci, Balletto, Alcamo, Calatrasi, Busacchino.
Sotto la camperia di Monreale era, fra gli altri, il feudo Dammusi .
Data non accertata -“La Masseria Dammusi, nel feudo omonimo, appartenne alla Casa S.Francesco Saverio di Palermo, unitamente al feudo Signora. La proprietà della casa del Noviziato comprendeva complessivamente 834 ettari, ubicati in una zona ricchissima d'acqua nella vallata formata dallo Jato, delimitata a Nord dai monti Signora (1131 m.), Dammusi (936 m.) , Mirto (1036 m.), a sud dal Monte Jato (852 m.).”
Dal XVII sec. al 1767-“Successivamente l’intero caseggiato venne in possesso della Compagnia di Gesù che lo tenne sino al 1767, anno della cacciata dei Gesuiti dal Regno di Napoli e di Sicilia.
L’architettura e la distribuzione degli ambienti sembrano caratterizzati notevolmente dalla presenza dell’ordine religioso: lunghi corridoi con stanzette. Tale impostazione sembra non avere subito grandi trasformazioni nella fase successiva quando proprietari del caseggiato nonché dei territori circostanti diventano i Beccadelli Bologna, Principi di Camporeale e Marchesi della Sambuca.”
1741-Carlo III, consigliato dal suo primo ministro Tanucci stipulò un concordato con la Santa Sede con il quale le tradizionali esenzioni fiscali delle proprietà ecclesiastiche venivano ridotte della metà o completamente abolite. Questo episodio costituisce un precedente alla futura espulsione dei Gesuiti.
1767 -Divenuto re delle due Sicilie, ancora minorenne, Ferdinando IV , per consiglio del Tanucci , e sull’esempio del padre Carlo III, ordina l’espulsione dal suo regno della Compagnia di Gesù. I loro beni vengono allora incamerati dalla Corte e dati in affitto da una Giunta speciale detta degli Abusi che nell’estate del 1768 diede in affitto, tra gli altri, il feudo Dammusi e Signora a Vincenzo Ragusa per onze 950, prestanome per conto del principe di Camporeale.
1776-77-“Allontanato dal governo Tanucci, nell’ottobre del 1776, prese il suo posto di ministro Giuseppe Beccadelli Marchese della Sambuca e Principe di Camporeale.”
1 agosto 1778-“Il governo napoletano con dispaccio del nuovo ministro Beccadelli, Marchese della Sambuca , comunicava la soppressione dell’azienda gesuitica: le chiese e le sedi dei collegi gesuitici venivano restituite ai vescovi delle rispettive diocesi, i beni e le rendite erano invece incorporati nel Real Patrimonio che li avrebbe amministrati come un cespite a parte. Queste furono messe in vendita e lo stesso ministro Beccadelli acquistò varie possessioni tra cui Dammusi e Signora (interamente occupata dai moggisti) con i suoi aggregati.”
1779 -“Il principe Giuseppe Beccadelli fonda il paese di San Giuseppe Jato (dal nome del fondatore) e di Camporeale (dal titolo del fondatore) con licentia populandi attorno ad un nucleo di costruzioni preesistenti (masseria e chiesa gesuitica) e sceglie invece per sé , un insediamento ad un uso più personale: la lussureggiante azienda agricola con il suo castelletto , dimora estiva della nobile famiglia fino a pochi anni or sono , sorse nel feudo Dammusi sul versante opposto della vallata esposta a sud ed in posizione panoramica.”
1815 -Il consiglio Provinciale della finanza determinò di includere nel territorio di San Giuseppe gli ex feudi di Dammusi, Signora,e Pietralonga secondo l’assegnazione fattane dal marchese della Sambuca.
1845-A seguito di operazioni di catasto, nel 1845, gli ex feudi di Dammusi e Signora furono aggregati a Monreale.
19/7/1883-Dopo varie dispute iniziate nel 1855 tra la Chiesa di Monreale e i paesi incamerati nel suo territorio, San Giuseppe con un R.D. (n.1541) ottenne gli ex feudi Chiusa, Feotto, Traversa e Jato. Dammusi rimase a Monreale.
Madonna sul carro trainato da buoi
Ma,torniamo al principe.
Qual è quella cosa che può coinvolgere un’intera comunità? Sapeva benissimo il Beccadelli che quando le forze naturali dell'intelligenza umana non sono in grado di spiegare una verità, allora essa diventa soprannaturale. Quando Nabucodonosor, possente re di Babilonia, sentì da sua figlia Fenena dichiarare con fierezza di essere essa stessa ebrea e di voler morire coi suoi fratelli, la fece inginocchiare e proclamò di non essere più re, ma Dio. Un fulmine scoppiò al di sopra del suo capo, ed una forza soprannaturale gli strappò la corona. Smarrito e angosciato, mentre le sue forze scemavano, chiese alla figlia di aiutarlo. Con sprezzo, Abigaille raccolse la corona, per continuare lei la lotta contro gli ebrei.
Con questa domanda si addormentò per più notti il principe, ed un mattino, dopo essersi stiracchiato in cima alla torre quattrocentesca che ornava il suo maniero, si lasciò sfuggire ad alta voce: il miracolo! Evento che apparentemente trascende i limiti umani e le leggi della natura, attribuito all'intervento divino o a forze sovrannaturali. I miracoli (dal latino mirari, "essere sorpreso") sono presenti in quasi tutte le religioni, ma è il cristianesimo la fede che ha rivolto maggiore attenzione a questo genere di eventi. Miracoli sono stati attribuiti a Gesù Cristo, ad alcuni suoi discepoli e, fino all'epoca attuale, ai santi, a maggior ragione il Beccadelli pensò che la Madonna avesse più titoli dei santi, in quanto madre di tutti, avrebbe coinvolto chicchessia. Si chiuse dentro un magazzino con un uomo fidato, tale Zorba Onofrio che era arrivato da Borgetto per chiedere in gabella, a censo o a decima un piccolo appezzamento, con lo stesso concordò il miracolo e lo ricompensò affidandogli, oltre alle terre, un armento. Zorba dormì sull’aia assieme a tanti altri contadini, si svegliò nel pieno della notte dicendo che la Madonna in sogno lo aveva avvertito che i muli, sfondato il recinto, stavano mangiando i covoni di grano pronti per la battitura. I muli non avevano le cavezze ed i contadini li riportarono nel recinto e si impegnarono con Zorba a cercare tra i sassi un segno che la Vergine gli aveva dato in sogno.
Ai tempi della trebbiatura le notti sono brevi, e Zorba, come rapito, al primo sole del 21 luglio 1784 guidò gli altri contadini accanto ad una sorgente, accanto alla quale erano state ammonticchiate delle pietre per bonificare un campo. Ci volle poco a trovare il quadro in ardesia della Vergine della Provvidenza, senza un graffio, lindo e pulito.. Nacque una disputa tra i contadini, i Borgettani pensavano appartenesse a loro, i Mortillari pensavano la stessa cosa. Il principe, in un primo tempo si tenne lontano dai discorsi, poi si pose a paciere e fece la proposta più saggia, quella di far decidere alla Madonna stessa con chi volesse andare se con i borgettani o con i mortillari. Accanto alla chiesetta del Sacro Cuore sotto le pendici del Monte San Cosmano c’era una stalla piena di buoi che erano sempre stati al giogo ed impiegati per il tiro, ne mandò a ritirare una coppia e li fece attaccare ad un carro, poi fece porre la preziosa effige sul carro e lasciò che i buoi fossero liberi di scegliere la strada. I buoi ritornarono alla loro stalla ed in prossimità della chiesetta del Sacro Cuore si fermarono. Il miracolo si era compiuto, la Vergine aveva scelto, ed il principe non ebbe più ad essere contestato.
La cappella, oggi Chiesa della Madonna della Provvidenza, nel 1852, per iniziativa del signor Lucido Nicolò di Carlo, nonno materno del Belli, e per concessione del principe, venne ricostruita ed ospitò il quadro di ardesia ritrovato a Dammusi.
Si dice che il quadro in ardesia fosse stato nascosto nel luogo del ritrovamento da parte del Zorba, dai Gesuiti prima che venissero scacciati dal feudo. Tanto fu sostenuto dai parroci che si alternarono a San Giuseppe li Mortilli, al fine di avvalorare il “miracolo”, ma nessuno ebbe mai a dimostrarlo.
Accantoniamo per un attimo il nostro narrato e cerchiamo di capire la presenza dei Gesuiti nella valle Jato.
Così ci riporta il nostro giovane concittadino jatino Alessandro Barone:
“La Compagnia di Gesù del Collegio di Trapani, dal 21 maggio 1665, era proprietaria del Feudo Mortilli , su cui sorge oggi San Giuseppe Jato. Dipendevano direttamente dal Collegio di San Francesco Saverio di Palermo, avevano un " discreto casamento, magazzini, la chiesetta del Sacro Cuore di Gesù, un fondaco,40.000 viti su 4 salme di vigneto,in tutto 200 salme.
I Gesuiti erano presenti in Sicilia dal 1549, interessati alla Sicilia soprattutto per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, luogo di transito per le crociate e ponte di collegamento per i commerci e gli scambi con l'Africa e con l'Oriente. Per tutta la seconda metà del Cinquecento,infatti, la Sicilia costituiva ancora l'estrema propaggine meridionale del mondo cattolico mediterraneo.
La vocazione missionaria dei Gesuiti non poteva non essere interessata in queste condizioni al rilievo strategico di porti come Messina e Palermo, infatti l'insediamento dei collegi in queste due città venne attuato per volontà del Loyola, rispettivamente nel 1548 e nel l550, e per opera personale dei suoi più diretti collaboratori: Ieronimo Nadal e Iacope Lainez, a Palermo, che succedette al Loyola nel governo della Compagnia.
L'istruzione era la missione principale della Compagnia che andava via via accumulando un patrimonio ingentissimo.
I collegi che sorgevano nel corso della seconda metà del secolo XVI, lungo le coste dell'isola, a Siracusa, a Trapani, a Catania, a Marsala e a Malta, obbedirono prevalentemente ad esigenze di ordine alla strategia insediativa dei Gesuiti in Sicilia.
Dopo la battaglia di Lepanto e in relazione alla diminuita importanza internazionale dell'isola e dell'intero bacino del Mediterraneo allo sviluppo dell'ordine, in Sicilia concorsero invece fattori di ordine politico, culturale e sociale, legati soprattutto all'esercizio del magistero scolastico e all’influenza crescente che i Gesuiti riuscirono ad esercitare tra le popolazioni locali. Nel corso della prima metà del Seicento, la dislocazione di collegi di nuova istituzione corrispose alle esigenze prevalenti di una <<strategia>> scolastica isolana. Dalla fascia costiera si penetrò nell'interno dell'isola con linee di irradiazione tendenti a coprire tutta l'area territoriale, comprese le zone più impervie e arretrate. Il metodo di insegnamento e il programma di studi era quello contenuto nella <<Ratio Studiorum>> che dal 1599 costituì il testo fondamentale della pedagogia gesuita.
Tra il 1650 e il 1700 si fondarono i Collegi di Polizzi, Mazzara, Alcamo e Mazzarino e la Casa di San Francesco Saverio a Palermo.
In questa azione si insediarono nella Valle dello Jato nei feudi Mortilli (con salme 200 di Casa San Francesco Saverio a Palermo), Dammusi, Signora e che Pietralunga, dipendevano dal collegio massimo del Noviziato di Casa professa di Palermo, Macellaro (1.373 salme) dal Collegio Romano.
La loro presenza incise non solo nella storia politica ma anche nella storia della Chiesa, ma sopratutto nei rapporti tra lo stato e chiesa.
La storia della istruzione pubblica statale, è legata ai Gesuiti che furono i primi ad operare nel settore dell'istruzione dal momento che la dissoluzione dell'ordine gesuitico pose tutti i governi nell'inderogabile necessità di intervenire nel settore della scuola sino ad allora quasi interamente occupato dalla espulsa Compagnia. L'espulsione dei Gesuiti e la successiva decisione papale di sopprimere l'ordine, non erano che la conclusione di un lungo e laborioso processo nel quale si ritrovano alcuni fra i principali elementi formativi della cultura e della società moderna; tra essi: il pensiero illuminista; la crisi dei rapporti fra stato e chiesa e il dibattito sul ruolo che il cattolicesimo dovesse avere nella società moderna, che lacerava dall'interno la chiesa cattolica.
Quadro in ardesia della Madonna della Provvidenza
Lasciamo i Gesuiti e ripigliamo il nostro narrato.
La devozione per la Madonna della Provvidenza, il fervore, portarono a San Giuseppe una miriade di fedeli venuti dai centri viciniori, tanto suggerì di elevare la Vergine a “Patrona di San Giuseppe li Mortilli”. Il patto tra chiesa, principe e fedeli fu quello che il 21 luglio di ogni anno venisse festeggiato, portando in processione, su un carro trainato da buoi, il quadro ritrovato nell’ex feudo Dammusi, dove in seguito venne eretto un santuario, per poi riportarla a sera, sempre in processione, in paese. Su richiesta dei fedeli, il sempre più devoto principe, decretò che terminati i lavori di mietitura e battitura del grano, venisse dedicato, in onore della Patrona, un ciclo di festeggiamenti, e qualora gli stessi non fossero stati celebrati, i devoti di Borgetto sarebbero stati investiti dell’affidamento, nella speranza che tanto si avverasse, i Borgettani si premurarono ad edificare nella loro città un luogo di culto dedicato alla Madonna della Provvidenza.
Alla fine del 1880, visto il pregio del quadro in ardesia, di pregiata fattura e delicatissimo, venne commissionato una quadro che riproducesse quello in ardesia, e da quel momento le processioni del 21 luglio ebbero come simulacro la nuova pittura ad olio.
Il profano, come sempre, si fa strada e si affianca al sacro,e spesso lo sovrasta.
I pellegrini giunti il mattino del 21 in processione a Dammusi, avevano offerto alla Vergine gli ex voto per grazia ricevuta, “i purmisioni”, il “viaggiu a peri”, il “viaggiu a peri scavusi”,quello “addinucchiuni”,che consisteva nel percorrere in ginocchio dall’inizio del sagrato all’altare, quello a “lingua a strascinuni”, che consisteva nel leccare con la lingua il percorso che va dalla soglia della cappella all’altare. Celebrate le funzioni, tutt’attorno mille fuochi per arrostire l’agnello, bancarelle con i bruscolini, venditori di palloncini, chitarre, mandolini, voci soliste e cori, balli e danze e “vinu a tinchitè” e, ad ogni bicchiere: “Viva a Maronna i Prurenzia!”, di seguito: tric-trac, carrittigghi e ghiocu di focu. Al vespero, un’ulteriore funzione e la processione di ritorno per riaccompagnare la Vergine in paese.
Processione
La dedizione alla Patrona è stata ed è tanta, nelle famiglie, ancora oggi, ad onta dell’imperversare dei nomi di battesimo tratti dalle soap opera americane, viene imposto a molte bambine il nome Provvidenza.
Finito il raccolto, quando il sole culmina nel segno del leone, per decreto del Beccadelli, il 13, 14 e 15 agosto, per ringraziare La Madonna per le abbondanti messi, e per propiziarsi il bene futuro, si dà inizio ai festeggiamenti in Suo onore.
Ma questa è un’altra storia.
Fontana prospiciente la Chiesa della Provvidenza
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