Secondo i teologi cattolici le virtù sono le propensioni dell’uomo, insite nel suo animo, a prodigare il bene. La carità è l’amore per il Creatore che si tramuta in amore verso le sue creature; essa supera il concetto stesso di giustizia in quanto implica la capacità del perdono. La carità è profondo amore verso il prossimo, capacità di soccorrere quanti manifestano un bisogno.
Di esempi di carità è piena la storia del Cristianesimo, ma anche delle altre grandi religioni, Induismo, Brahmanesimo, Buddismo, Islam, Ebraismo. Cosma e Damiano, martiri cristiani, secondo la tradizione, per spirito di carità, offrirono la loro opera di medici in maniera gratuita.
I monaci buddisti Therevada, vivono unicamente di elemosina, quindi della carità dei fedeli.
Nell’Islam, i Dervisci, membri di alcune confraternite del sufismo, diffuse soprattutto in Turchia e in Iran, vivono di elemosina. La carità è l’argomento di tutti i sermoni, e pratica tra i fedeli.
Un versetto della Bibbia così recita: “Seduto di fronte al tronco, davanti al tempio di Gerusalemme, Gesù guardava come la folla metteva il denaro nel tronco. Un buon numero di ricchi metteva molti denari. Venne una povera vedova che mise due piccole monetine, qualche centesimo. Chiamando i suoi discepoli Gesù disse loro: “In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti coloro che mettono denaro nel tronco. Ciò perché tutti hanno messo il loro superfluo, lei invece ha messo, nella sua miseria, tutto quello che possedeva, tutto quello che aveva per vivere.”
La favola di oggi ci racconta della carità, attraverso un monachello, la sua semplicità, la sua propensione a dare incondizionatamente, anche a costo di privarsi del minimo indispensabile per sopravvivere.
Di esempi di carità è piena la storia del Cristianesimo, ma anche delle altre grandi religioni, Induismo, Brahmanesimo, Buddismo, Islam, Ebraismo. Cosma e Damiano, martiri cristiani, secondo la tradizione, per spirito di carità, offrirono la loro opera di medici in maniera gratuita.
I monaci buddisti Therevada, vivono unicamente di elemosina, quindi della carità dei fedeli.
Nell’Islam, i Dervisci, membri di alcune confraternite del sufismo, diffuse soprattutto in Turchia e in Iran, vivono di elemosina. La carità è l’argomento di tutti i sermoni, e pratica tra i fedeli.
Un versetto della Bibbia così recita: “Seduto di fronte al tronco, davanti al tempio di Gerusalemme, Gesù guardava come la folla metteva il denaro nel tronco. Un buon numero di ricchi metteva molti denari. Venne una povera vedova che mise due piccole monetine, qualche centesimo. Chiamando i suoi discepoli Gesù disse loro: “In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti coloro che mettono denaro nel tronco. Ciò perché tutti hanno messo il loro superfluo, lei invece ha messo, nella sua miseria, tutto quello che possedeva, tutto quello che aveva per vivere.”
La favola di oggi ci racconta della carità, attraverso un monachello, la sua semplicità, la sua propensione a dare incondizionatamente, anche a costo di privarsi del minimo indispensabile per sopravvivere.
Mario Scamardo
I Racconti del Borgo
V narrato
Il frate fornaio di Muffoletto
Su una piccola altura della campagna di San Cipirello, a Muffoletto , si trovava un convento di frati questuanti. Il posto era ameno, pieno di alberi che davano frescura e tutt’intorno vegetavano enormi macchie di gelsomini e vasti roseti di ogni varietà. I frati erano molto attivi, coltivavano un piccolo fondo ad ortaggi ed allevavano alcuni animali da cortile, polli, conigli e finanche un maiale. In un piccolo recinto tenevano tre capre e le mungevano tutte le mattine, risolvendo così il problema della loro colazione. I “munacheddi”, così venivano chiamati dalle genti del posto, erano mattinieri, prima che il gallo cantasse erano già riuniti in preghiera dentro la cappella del convento e, i contadini che passavano a dorso di mulo per recarsi al lavoro, ascoltavano il loro salmodiare e si segnavano.
Appena il primo raggio di sole baciava la cima del piccolo campanile, ognuno dava inizio al suo lavoro. Alcune coppie di frati uscivano per la questua, altri attivavano l’orticello, qualcuno faceva le pulizie e qualche altro curava i roseti e le aiuole tutt’intorno. Frate Giacomo, magro come un grissino, con una tunica addosso che sembrava essere attaccata ad una cruccia, prelevava da un locale attiguo alla cucina un sacchetto di farina, sistemava su due cavalletti di legno una tavola di forma quadrata e, con un setaccio la separava dalla crusca. Prelevava da un piccolo recipiente di coccio il lievito e con l’acqua tiepida impastava la farina. Le sue mani erano celeri, rivoltava l’impasto con destrezza e vi affondava i pugni chiusi fino a rendere la massa uniforme. Sciacquate le mani, procedeva a dividere l’impasto e a realizzare un diecina di filoni che sistemava con cura sul tavolo grande sopra un telo bianco spolverato di farina. A lavoro finito, copriva le forme con altro telo e vi stendeva sopra alcune coperte per far si che, al tepore, avvenisse la lievitazione. Accendeva a questo punto il forno e lo alimentava con la legna che qualcuno degli altri frati aveva portato dentro la cucina.
Frate Giacomo, infaticabile, era a Muffoletto da cinque anni e, da quando aveva messo piede nel convento, aveva solo fatto il fornaio. Da ragazzo era stato garzone di un panettiere che lo aveva licenziato, perché colto in flagrante, mentre donava, di nascosto, una forma di pane ad una anziana signora che mendicava.
I frati di Muffoletto ricevevano in dono tanto grano dai contadini del posto, ed il pane non era mai mancato.
Appena il camino, un giorno si ed uno no, fumava, il viottolo che saliva al convento, veniva percorso da tre bambini, due femminucce ed un maschietto che abitavano con le loro famiglie in due casolari ai piedi della salita. Frate Giacomo li aspettava, - Cristo regni! – salutavano i fanciulli – Sempre! – rispondeva il fraticello sorridendo gioioso della loro presenza. I fanciulli baciavano il suo cordone e pigliavano posto, sedendo su una lunga panca davanti al forno ad aspettare che il monachello, presa una forma di pasta messa a lievitare, la dividesse in quattro, schiacciasse le parti e le infornasse in un angolino, accanto alla fiamma. A cottura avvenuta le tirava fuori, le apriva con un coltello e le condiva con olio e sale e, assieme ai bambini, consumava la sua. Tanto gli serviva per controllare la perfetta lievitazione del pane, ma soprattutto perché faceva felici i bambini e soddisfaceva la sua esigenza di donare incondizionatamente. Regalava loro una mela e, appena sfornato il pane, ne avvolgeva tre forme in un tovagliolo, dava uno sguardo attorno per controllare sulla eventuale presenza dei confratelli, le donava ai bambini e li accompagnava al viottolo, seguendoli con lo sguardo fino al raggiungimento delle loro case. Frate Giacomo non aveva perduto l’abitudine di donare di nascosto il pane, ripeteva il suo gesto ogni due giorni e, quando i bambini andavano via, si recava nella cappella e chiedeva perdono al grande Crocifisso che stava nella piccola abside.
Il giorno che non panificava, fra Giacomo lo passava facendo dell’altro, andava al mulino a macinare il grano, impastava la crusca per dar da mangiare al maiale, governava le caprette, aiutava gli altri frati nell’orto.
Un mattino d’inverno, non dovendo assolvere al compito di fare il pane, si recò in paese per la questua, non era mai andato, prese una piccola bisaccia, la pose sulle sue spalle e s’incamminò verso l’abitato. Il “munacheddu” bussò alle porte e ricevette le offerte, qualche uovo, una piccola forma di pecorino, due bottiglie d’olio, un sacchetto di noci, una manciata di legumi. Sul finire della mattinata, sulla via del ritorno, Fra Giacomo bussò ad una porta, una donna le aprì, era vestita a lutto, attorno aveva una nidiata di bambini, il marito era passato a miglior vita pochi giorni prima. Non era una casa di benestanti, la miseria la faceva da padrona, ma la donna fece accomodare il frate, aprì il cassetto del tavolo, tirò fuori una forma scarsa di pane nero, contò con gli occhi i ragazzini, erano cinque, tagliò in sei parti uguali il pane, ne staccò una e la porse al fraticello, lo vide così scarno, macilento, e pensò che quella che doveva essere la sua porzione, fosse più necessaria al “munacheddu” – tenete, mangiatela – disse – io non ho fame, voi siete così sciupato, vi prego mangiatela! – Frate Giacomo prese il pezzo di pane tra le mani, era raffermo, di farina di segale, la farina dei poveri e lo mangiò. Prese la sua bisaccia, la svuotò sul tavolo della donna, carezzò i bambini e disse al più grande di loro: - sai dov’è il convento? Tutte le mattine vienimi a trovare, promettimelo, ti darò qualcosa che porterai alla tua mamma – salutò la donna ed uscì con le sua bisaccia vuota. Strada facendo, ai piedi della salita, si fermò per ripigliare fiato e notò sotto un pioppo una moltitudine di funghi, si chinò, li raccolse e riempì la bisaccia, si interrogò come mai, in un posto come quello, nessuno li aveva visti, erano commestibili e tanti. I frati del convento si meravigliarono della sua questua, fatta solo di quei funghi, ma da quei buongustai che erano, fecero in fretta a dimenticare.
Il mattino seguente, il camino fumava, i soliti tre bambini risalirono l’erta e, quando il forno era già pronto per ricevere le forme di pane, comparve il bambino più grandicello della vedova. Fra Giacomo, aveva impastato più farina e quando sfornò, confezionò due involti, uno con tre filoni ed uno con cinque filoni di pane che diede all’ultimo arrivato. Quando entrò nella piccola cappella e si inginocchiò per chiedere perdono al grande Crocifisso, sentì una voce che gli disse: - Fratello Giacomo, perché mi chiedi perdono per un peccato che non hai commesso? – Il fraticello si guardò intorno, non c’era anima viva, soltanto lui ed il Cristo in croce, allora tremò, capì e si prostrò, era Lui che gli parlava – alzati fratello mio, hai forse dimenticato i miei insegnamenti? Ricordalo, dai sempre il superfluo a chi ha bisogno, in te è innato questo sentimento, i bambini a cui hai donato sono, come te, figli miei, tu vuoi che soffrano la fame? – Il fraticello sollevò il capo, fissò il grande Crocefisso e balbettando disse: - Gesù, è inverno, il grano comincia a scarseggiare, io ho forse esagerato, ma da oggi digiunerò per recuperare il pane che ho donato – sei buono ma cocciuto, continua a mangiare il pane, questo è un voto che non puoi mantenere, tranne che tu voglia rinunciare anche a comunicarti, non vedi come sei ridotto? Hai dimenticato che la Provvidenza non abbandona mai i giusti, hai forse perso la fede? Ora vai, fra poco sentirai il rintocco della campana, i tuoi confratelli sono tornati, è ora che tu porti loro il pane. Non pentirti mai di avere donato, quando sarai con me riceverai più di quanto hai donato, io non sono labile di memoria, me lo ricorderò! - Fra Giacomo si segnò e tornò lesto al suo forno per portare il pane in refettorio.
I giorni passavano e fra Giacomo continuava a ricevere i bambini e a dar loro il pane quando un mattino, il priore del convento lo convocò nella sua cella. – Fratello Giacomo, sedetevi ed ascoltate quanto vi dirò, la stagione del grano è ancora lontana, mi è stato riferito che la nostra scorta, stranamente, sta per esaurirsi, io non voglio indagare, ma due sono le cose, o voi siete uno sprecone oppure, con mano abbastanza larga, date ad altri quanto serve ai nostri confratelli che vivono di elemosina. Appena usciti dal refettorio, assieme al vice priore, andremo a constatare le giacenze -. Fra Giacomo non disse una parola, si alzò e attese che il priore lo congedasse. Di corsa si recò nella cappella, si inginocchiò, pianse e gli tornò alla mente il suo vecchio panettiere che lo aveva licenziato per aver regalato una forma di pane ad una mendicante, furono quelli momenti terribili, l’angoscia lo colse. Il macilento monachello non aveva nessuno a questo mondo, era trovatello e con i genitori adottivi, deceduti anzitempo, aveva provato la fame e gli stenti, la sua famiglia era in quel convento, a Muffoletto. Temette che lo avrebbero licenziato anche dal convento, gli avrebbero cambiato mansione, lo avrebbero forse trasferito in altro monastero, chissà... – Fratello Giacomo – disse la solita voce – perché piangi, hai dimenticato che sono stato io a dirti di dare? Dove è finita la tua fede nella Provvidenza? – Frate Giacomo si sentì sollevato, si alzò, andò verso il grande Crocifisso e baciò il chiodo che ne trafiggeva i piedi, si segnò e aspettò ancora una parola – Giacomo, asciuga le tue lacrime e non vergognarti mai di avere pianto, solo i forti ed i grandi sanno piangere, i deboli ostentano sempre la sicurezza che non possiedono e sconoscono l’umiltà. Vai con i tuoi confratelli e ricordati di consumare la tua razione di pane. -
Dopo il pranzo, il priore fece cenno al suo vice e, con fra Giacomo, si recarono nel locale attiguo alla cucina e, con grande loro meraviglia, videro accatastati tanti sacchi di grano e tanti altri di bianca farina. Il priore trasecolò, si rivolse al suo vice – perché mi avete detto che mancava il grano, basta e avanza ancora per due anni, e tutte le storie dei bambini che vengono e vanno via stracarichi di pane sono soltanto una vostra invenzione! Che la bugia non sfiori mai le labbra di ognuno di noi, in una comunità come la nostra la menzogna può innescare dei brutti meccanismi. Ricordatevi che siamo uomini, ed il più giusto sbaglia sette volte al dì. Il sospetto non è mai l’anticamera della verità, mai! Esso è soltanto l’anticamera della tragedia! Guai a colui che non può difendersi da un’accusa ingiusta, per qualcosa che non ha commesso!... – No, padre priore – disse fra Giacomo - nessuno vi ha mentito, è vero, io dono ogni volta che faccio il pane, otto filoni ai bambini, ed essi lo portano a casa, tre ai figli dei nostri vicini, cinque al figlio della vedova che sta all’ingresso del paese. Sapete, io ho sempre fatto il panettiere, è difficile mangiare, quando ciò è possibile, soltanto pane di segale, e la vedova quello solo aveva, ha rinunciato alla sua porzione donandola a me. Io, per amore l’ho mangiato, ho svuotato la mia bisaccia sul suo tavolo e andando via, ho promesso che, anche se non avessi più da quel giorno assaggiato il pane, gliene avrei donato tutte le volte che lo sfornavo, ed ho mantenuto quella promessa.- Il priore era un buon cristiano e rimase trasecolato a quel racconto – come mai abbiamo consumato il doppio di farina ed il grano che ci ritroviamo è di più di quanto ne abbiamo immagazzinato l’estate scorsa? I contadini sono stati generosi, ci vogliono bene, portiamo sempre nelle loro case una parola di conforto, assistiamo talvolta i loro malati, preghiamo per quanti non hanno trovato ancora il sostegno della fede, ma il grano è come se si fosse moltiplicato cento volte! – Perdonate – disse il fraticello fornaio – anch’io non ho capito, di sovente sono frastornato, la mia mente è spesso confusa, ma è certo che qualcuno che sta al di sopra di ogni cosa, ha provveduto affinchè i bambini poveri potessero, ogni due giorni almeno, avere il loro pane fresco e croccante, pane di grano duro anziché di segale, qualcuno che ha messo in moto la Provvidenza -. I frati stupiti da quelle parole, chinarono i capi ed in fila indiana entrarono nella cappella a pregare e ringraziare la Provvidenza.
Fra Giacomo non subì più controlli, tutti i frati gli portavano rispetto. Ogni due giorni, impastava più farina e riceveva più bambini, - Cristo regni! – Sempre! – Rispondeva, senza stancarsi mai e, a pane sfornato, ritornava in cappella, non più per chiedere perdono ma per ringraziare il grande Crocifisso che gli concedeva, ad ogni levarsi del sole, la gioia di poter donare con amore.
Appena il primo raggio di sole baciava la cima del piccolo campanile, ognuno dava inizio al suo lavoro. Alcune coppie di frati uscivano per la questua, altri attivavano l’orticello, qualcuno faceva le pulizie e qualche altro curava i roseti e le aiuole tutt’intorno. Frate Giacomo, magro come un grissino, con una tunica addosso che sembrava essere attaccata ad una cruccia, prelevava da un locale attiguo alla cucina un sacchetto di farina, sistemava su due cavalletti di legno una tavola di forma quadrata e, con un setaccio la separava dalla crusca. Prelevava da un piccolo recipiente di coccio il lievito e con l’acqua tiepida impastava la farina. Le sue mani erano celeri, rivoltava l’impasto con destrezza e vi affondava i pugni chiusi fino a rendere la massa uniforme. Sciacquate le mani, procedeva a dividere l’impasto e a realizzare un diecina di filoni che sistemava con cura sul tavolo grande sopra un telo bianco spolverato di farina. A lavoro finito, copriva le forme con altro telo e vi stendeva sopra alcune coperte per far si che, al tepore, avvenisse la lievitazione. Accendeva a questo punto il forno e lo alimentava con la legna che qualcuno degli altri frati aveva portato dentro la cucina.
Frate Giacomo, infaticabile, era a Muffoletto da cinque anni e, da quando aveva messo piede nel convento, aveva solo fatto il fornaio. Da ragazzo era stato garzone di un panettiere che lo aveva licenziato, perché colto in flagrante, mentre donava, di nascosto, una forma di pane ad una anziana signora che mendicava.
I frati di Muffoletto ricevevano in dono tanto grano dai contadini del posto, ed il pane non era mai mancato.
Appena il camino, un giorno si ed uno no, fumava, il viottolo che saliva al convento, veniva percorso da tre bambini, due femminucce ed un maschietto che abitavano con le loro famiglie in due casolari ai piedi della salita. Frate Giacomo li aspettava, - Cristo regni! – salutavano i fanciulli – Sempre! – rispondeva il fraticello sorridendo gioioso della loro presenza. I fanciulli baciavano il suo cordone e pigliavano posto, sedendo su una lunga panca davanti al forno ad aspettare che il monachello, presa una forma di pasta messa a lievitare, la dividesse in quattro, schiacciasse le parti e le infornasse in un angolino, accanto alla fiamma. A cottura avvenuta le tirava fuori, le apriva con un coltello e le condiva con olio e sale e, assieme ai bambini, consumava la sua. Tanto gli serviva per controllare la perfetta lievitazione del pane, ma soprattutto perché faceva felici i bambini e soddisfaceva la sua esigenza di donare incondizionatamente. Regalava loro una mela e, appena sfornato il pane, ne avvolgeva tre forme in un tovagliolo, dava uno sguardo attorno per controllare sulla eventuale presenza dei confratelli, le donava ai bambini e li accompagnava al viottolo, seguendoli con lo sguardo fino al raggiungimento delle loro case. Frate Giacomo non aveva perduto l’abitudine di donare di nascosto il pane, ripeteva il suo gesto ogni due giorni e, quando i bambini andavano via, si recava nella cappella e chiedeva perdono al grande Crocifisso che stava nella piccola abside.
Il giorno che non panificava, fra Giacomo lo passava facendo dell’altro, andava al mulino a macinare il grano, impastava la crusca per dar da mangiare al maiale, governava le caprette, aiutava gli altri frati nell’orto.
Un mattino d’inverno, non dovendo assolvere al compito di fare il pane, si recò in paese per la questua, non era mai andato, prese una piccola bisaccia, la pose sulle sue spalle e s’incamminò verso l’abitato. Il “munacheddu” bussò alle porte e ricevette le offerte, qualche uovo, una piccola forma di pecorino, due bottiglie d’olio, un sacchetto di noci, una manciata di legumi. Sul finire della mattinata, sulla via del ritorno, Fra Giacomo bussò ad una porta, una donna le aprì, era vestita a lutto, attorno aveva una nidiata di bambini, il marito era passato a miglior vita pochi giorni prima. Non era una casa di benestanti, la miseria la faceva da padrona, ma la donna fece accomodare il frate, aprì il cassetto del tavolo, tirò fuori una forma scarsa di pane nero, contò con gli occhi i ragazzini, erano cinque, tagliò in sei parti uguali il pane, ne staccò una e la porse al fraticello, lo vide così scarno, macilento, e pensò che quella che doveva essere la sua porzione, fosse più necessaria al “munacheddu” – tenete, mangiatela – disse – io non ho fame, voi siete così sciupato, vi prego mangiatela! – Frate Giacomo prese il pezzo di pane tra le mani, era raffermo, di farina di segale, la farina dei poveri e lo mangiò. Prese la sua bisaccia, la svuotò sul tavolo della donna, carezzò i bambini e disse al più grande di loro: - sai dov’è il convento? Tutte le mattine vienimi a trovare, promettimelo, ti darò qualcosa che porterai alla tua mamma – salutò la donna ed uscì con le sua bisaccia vuota. Strada facendo, ai piedi della salita, si fermò per ripigliare fiato e notò sotto un pioppo una moltitudine di funghi, si chinò, li raccolse e riempì la bisaccia, si interrogò come mai, in un posto come quello, nessuno li aveva visti, erano commestibili e tanti. I frati del convento si meravigliarono della sua questua, fatta solo di quei funghi, ma da quei buongustai che erano, fecero in fretta a dimenticare.
Il mattino seguente, il camino fumava, i soliti tre bambini risalirono l’erta e, quando il forno era già pronto per ricevere le forme di pane, comparve il bambino più grandicello della vedova. Fra Giacomo, aveva impastato più farina e quando sfornò, confezionò due involti, uno con tre filoni ed uno con cinque filoni di pane che diede all’ultimo arrivato. Quando entrò nella piccola cappella e si inginocchiò per chiedere perdono al grande Crocifisso, sentì una voce che gli disse: - Fratello Giacomo, perché mi chiedi perdono per un peccato che non hai commesso? – Il fraticello si guardò intorno, non c’era anima viva, soltanto lui ed il Cristo in croce, allora tremò, capì e si prostrò, era Lui che gli parlava – alzati fratello mio, hai forse dimenticato i miei insegnamenti? Ricordalo, dai sempre il superfluo a chi ha bisogno, in te è innato questo sentimento, i bambini a cui hai donato sono, come te, figli miei, tu vuoi che soffrano la fame? – Il fraticello sollevò il capo, fissò il grande Crocefisso e balbettando disse: - Gesù, è inverno, il grano comincia a scarseggiare, io ho forse esagerato, ma da oggi digiunerò per recuperare il pane che ho donato – sei buono ma cocciuto, continua a mangiare il pane, questo è un voto che non puoi mantenere, tranne che tu voglia rinunciare anche a comunicarti, non vedi come sei ridotto? Hai dimenticato che la Provvidenza non abbandona mai i giusti, hai forse perso la fede? Ora vai, fra poco sentirai il rintocco della campana, i tuoi confratelli sono tornati, è ora che tu porti loro il pane. Non pentirti mai di avere donato, quando sarai con me riceverai più di quanto hai donato, io non sono labile di memoria, me lo ricorderò! - Fra Giacomo si segnò e tornò lesto al suo forno per portare il pane in refettorio.
I giorni passavano e fra Giacomo continuava a ricevere i bambini e a dar loro il pane quando un mattino, il priore del convento lo convocò nella sua cella. – Fratello Giacomo, sedetevi ed ascoltate quanto vi dirò, la stagione del grano è ancora lontana, mi è stato riferito che la nostra scorta, stranamente, sta per esaurirsi, io non voglio indagare, ma due sono le cose, o voi siete uno sprecone oppure, con mano abbastanza larga, date ad altri quanto serve ai nostri confratelli che vivono di elemosina. Appena usciti dal refettorio, assieme al vice priore, andremo a constatare le giacenze -. Fra Giacomo non disse una parola, si alzò e attese che il priore lo congedasse. Di corsa si recò nella cappella, si inginocchiò, pianse e gli tornò alla mente il suo vecchio panettiere che lo aveva licenziato per aver regalato una forma di pane ad una mendicante, furono quelli momenti terribili, l’angoscia lo colse. Il macilento monachello non aveva nessuno a questo mondo, era trovatello e con i genitori adottivi, deceduti anzitempo, aveva provato la fame e gli stenti, la sua famiglia era in quel convento, a Muffoletto. Temette che lo avrebbero licenziato anche dal convento, gli avrebbero cambiato mansione, lo avrebbero forse trasferito in altro monastero, chissà... – Fratello Giacomo – disse la solita voce – perché piangi, hai dimenticato che sono stato io a dirti di dare? Dove è finita la tua fede nella Provvidenza? – Frate Giacomo si sentì sollevato, si alzò, andò verso il grande Crocifisso e baciò il chiodo che ne trafiggeva i piedi, si segnò e aspettò ancora una parola – Giacomo, asciuga le tue lacrime e non vergognarti mai di avere pianto, solo i forti ed i grandi sanno piangere, i deboli ostentano sempre la sicurezza che non possiedono e sconoscono l’umiltà. Vai con i tuoi confratelli e ricordati di consumare la tua razione di pane. -
Dopo il pranzo, il priore fece cenno al suo vice e, con fra Giacomo, si recarono nel locale attiguo alla cucina e, con grande loro meraviglia, videro accatastati tanti sacchi di grano e tanti altri di bianca farina. Il priore trasecolò, si rivolse al suo vice – perché mi avete detto che mancava il grano, basta e avanza ancora per due anni, e tutte le storie dei bambini che vengono e vanno via stracarichi di pane sono soltanto una vostra invenzione! Che la bugia non sfiori mai le labbra di ognuno di noi, in una comunità come la nostra la menzogna può innescare dei brutti meccanismi. Ricordatevi che siamo uomini, ed il più giusto sbaglia sette volte al dì. Il sospetto non è mai l’anticamera della verità, mai! Esso è soltanto l’anticamera della tragedia! Guai a colui che non può difendersi da un’accusa ingiusta, per qualcosa che non ha commesso!... – No, padre priore – disse fra Giacomo - nessuno vi ha mentito, è vero, io dono ogni volta che faccio il pane, otto filoni ai bambini, ed essi lo portano a casa, tre ai figli dei nostri vicini, cinque al figlio della vedova che sta all’ingresso del paese. Sapete, io ho sempre fatto il panettiere, è difficile mangiare, quando ciò è possibile, soltanto pane di segale, e la vedova quello solo aveva, ha rinunciato alla sua porzione donandola a me. Io, per amore l’ho mangiato, ho svuotato la mia bisaccia sul suo tavolo e andando via, ho promesso che, anche se non avessi più da quel giorno assaggiato il pane, gliene avrei donato tutte le volte che lo sfornavo, ed ho mantenuto quella promessa.- Il priore era un buon cristiano e rimase trasecolato a quel racconto – come mai abbiamo consumato il doppio di farina ed il grano che ci ritroviamo è di più di quanto ne abbiamo immagazzinato l’estate scorsa? I contadini sono stati generosi, ci vogliono bene, portiamo sempre nelle loro case una parola di conforto, assistiamo talvolta i loro malati, preghiamo per quanti non hanno trovato ancora il sostegno della fede, ma il grano è come se si fosse moltiplicato cento volte! – Perdonate – disse il fraticello fornaio – anch’io non ho capito, di sovente sono frastornato, la mia mente è spesso confusa, ma è certo che qualcuno che sta al di sopra di ogni cosa, ha provveduto affinchè i bambini poveri potessero, ogni due giorni almeno, avere il loro pane fresco e croccante, pane di grano duro anziché di segale, qualcuno che ha messo in moto la Provvidenza -. I frati stupiti da quelle parole, chinarono i capi ed in fila indiana entrarono nella cappella a pregare e ringraziare la Provvidenza.
Fra Giacomo non subì più controlli, tutti i frati gli portavano rispetto. Ogni due giorni, impastava più farina e riceveva più bambini, - Cristo regni! – Sempre! – Rispondeva, senza stancarsi mai e, a pane sfornato, ritornava in cappella, non più per chiedere perdono ma per ringraziare il grande Crocifisso che gli concedeva, ad ogni levarsi del sole, la gioia di poter donare con amore.
Spero che questo racconto breve vi sia piaciuto. Ritengo, a mio modestissimo avviso che, dopo aver aiutato i più piccoli a penetrare il narrato, si possa da alcuni spunti, tracciare la via per spiegar loro questa grande Virtù che è la Carità. Vi ringrazio.